La nicchia - numero 10 - Confucio, Ezra Pound e il Lao Zi

“L’uomo che muove una montagna inizia spostando piccole pietre”: è una citazione attribuita a Confucio che, tempo fa, mi ha mandato un’amica, una delle molte motivazionali che girano sui social. 

Un bel detto che, subito, mi ha fatto pensare al famoso passaggio dal Lao Zi (vedi Tao tê ching o Libro della Via e della Virtù), capostipite invece del taoismo cinese: “Un viaggio di mille miglia inizia con un singolo passo.” Frase che altrettanto spesso ho letto attribuita erroneamente a Confucio, a cui si fanno risalire i pensieri più disparati.  

Nell’originale, tra l’altro, la frase di Lao Zi (Tao tê ching, 64) è accompagnata da altre immagini che rimangono impresse:

“Un albero dello spessore di due braccia è nato da un pezzetto di filo; una torre di nove piani è uscita da un mucchio di terra; un viaggio di mille leghe ha inizio da ciò che sta sotto i piedi.” E subito dopo: “Gli uomini, nel trattare i loro affari, spesso li rovinano quando sono sul punto di riuscire.” 

Dando invece un’occhiata ai Dialoghi di Confucio (Lun Yu, una delle fonti principali del confucianesimo), ho scoperto che se non ci sono proprio quelle esatte parole, c’è un passo che parla proprio di muovere, o meglio erigere una montagna che è molto simile, e in fondo non lontano anche nel significato. È nel nono capitolo (9.19), un passo un po’ ambiguo, perché, nello stile di questo classico, non si danno molte spiegazioni (per cui le generazioni di commentari). La traduzione più letterale che ho trovato è questa:  

“Confucio disse: ‘Supponiamo che io costruisca un cumulo [anche se nell’originale dice proprio “montagna”, shan]: se mi fermo quando manca un solo corbello di terra, sono io che smetto. Supponiamo che io livelli il terreno: se continuo dopo aver rovesciato il primo corbello di terra, sono io che vado avanti.”  

Poi il traduttore (Fausto Tomassini, in Testi confuciani) aggiunge: “Così lo stesso per la conoscenza.” E infatti molti commentari cinesi si riferiscono a questo passo del costruire una montagna e livellare il terreno, come ad un’allegoria della conoscenza, dello studio, della coltivazione di sé, della propria moralità e del proprio carattere. 

La traduzione di Simon Leys, invece, più neutra, non tiene conto di questa interpretazione, soltanto, per semplicità, usa per la seconda metafora l’immagine di un fossato da riempire (la versione di questo sinologo di origine belga de I detti di Confucio, edita da Adelphi e a cura di Carlo Laurenti, è tra le più belle, specialmente per l’introduzione e i commenti al testo):  

“È come erigere un tumulo: se ci si ferma prima dell’ultimo cesto di terra, resterà per sempre incompiuto. È come riempire un fossato: una volta versato il primo cesto, basta continuare per progredire.” 

 Anche Ezra Pound, che (per ragioni che continuano a stupire molti) ad un certo punto della sua vita si era messo a studiare e tradurre testi classici cinesi, passando anche per i Dialoghi (vedi Analecta, Scheiwiller, 1995), pur trovando il passo oscuro – “Non capisco assolutamente il testo di questo capitolo. Posso solo indovinare” – nella sua versione ne coglie il significato generale:  

“Disse: Non si rende perfetto un monticello con un solo cesto di terra; eppure ha rilievo, io mi ci metto. Se si versa un cesto di terra su una superficie piatta è un inizio (per il monticello?), io mi ci metto.”  

Insomma, la lettura comune di questo passo sarebbe che, in qualsiasi obiettivo che ci poniamo, ci possiamo comparare ad un uomo che vuole erigere una montagna – l’obiettivo è lontano, ma è soltanto andando avanti, non arrendendoci, piccolo cesto di terra dopo cesto, che potremo farcela, e forse la prossima è quella decisiva.  

Altri traduttori inglesi, come Edward Slingerland o Peimin Ni, ad ogni modo, si accodano all’interpretazione che accentua il valore del detto nel campo dello studio e della coltivazione di sé, centrali nel pensiero del Maestro. Ni, ad esempio, commenta (vedi Understanding the Analects of Confucius, 2017):  

“Questo passaggio e quelli che lo seguono e precedono, sono degli incoraggiamenti perché le persone continuino a progredire nello studio e nella coltivazione di sé. Con quest’ultima, infatti, il confuciano mira a ‘raggiungere il sommo bene’ (vedi il Grande studio). Una simile meta sembra irraggiungibile, ma ‘un viaggio di mille leghe ha inizio da ciò che sta sotto i piedi.’ (Tao tê ching, 64) D’altro canto, per quanto si sia già potuto raggiungere, non si dovrebbe mai smettere di fare ulteriori progressi, come il fiume che scorre incessantemente giorno e notte in 9.17.” 

Quest’ultimo, folgorante, detto, il 9.17, meriterebbe di essere altrettanto riportato; il sopracitato Leys traduce:  

“Il Maestro si trovava sulla riva di un fiume e disse: «Ogni cosa scorre così, senza fine, giorno e notte».”

Commentando:

“È l’esatto equivalente di pánta reí (πάντά ῥεῖ). Confucio ed Eraclito erano contemporanei! I commentatori tradizionali di solito interpretano questo brano in senso etico più che cosmologico. L’acqua che scorre è una metafora universale, usata per evocare non solo la costanza dell’impegno morale, ma anche il conforto psicologico ed emotivo: si veda, ad esempio, Samuel Johnson (Rasselas, principe d’Abissinia, il Saggiatore, Milano, 1983, cap. XXXV, p. 129): «Il nostro animo, così come il nostro corpo, è soggetto a un mutare continuo; di ora in ora qualcosa si perde e qualcosa s’acquista ... Non lasciare che la vita ristagni: diverrà essa una palude per mancanza di moto: riaffidati al flusso del mondo».”

Chiunque abbia inventato quella frase non è, dunque, così lontano dal pensiero del Maestro: “L’uomo che muove una montagna inizia spostando piccole pietre.”

Alessandro Burrone