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La nicchia - numero 64 - “Io posso fare di te torto o ragione a mio talento”

2024-11-06 21:28

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Rivista letteraria, Maria Grazia Nappa,

La nicchia - numero 64 - “Io posso fare di te torto o ragione a mio talento”

Su Arturo Onofri

 Quando scovo tra gli usati vecchie edizioni di libri veri di poesia, provo una felicità infantile.


Recentemente, su una bancarella modesta noto una copertina dall’estetica antica. Il nome del poeta è Arturo Onofri. Orchestrine e Arioso i nomi delle raccolte; 1959, Neri Pozza Editore.


Sfogliando l’introduzione di Giorgio Vigolo scopro che nel 1912 Onofri, allora ventisettenne, iniziò a Roma, e insieme a pochi amici poeti, la pubblicazione della rivista Lirica, cui manifesto non lascia dubbi circa i toni e le intenzioni:


«La nostra parola non vuole avere altro valore che lirico. Ognuno di noi segue il proprio cammino poiché aborriamo per istinto da tutte le scuole, le estetiche, le metriche in quanto tali, da tutti i pedagoghi dell’arte e da tutti gli stili; e ci beffiamo, così d’ogni formula tradizionalmente preconcetta, come d’ogni schiamazzo di rivoluzione a partito preso».


Onofri si definiva un vagabondo senza cricche, e dunque mi basta per comprenderne la personalità.


In Orchestrine, a raccontare la vita di un uomo nato a Roma da una famiglia borghese, prose liriche gonfie di immagini crepuscolari, sintetiche, insieme a visuali definite da una potenza spirituale di carattere decadente. Impressionato dai simbolisti, la prosa richiama lo stile di Baudelaire; nondimeno, suggestioni mirano a un archetipo d’impronta pascoliana attraverso la cui forma il poeta palesa l’indole certamente nostalgica. Guizzi di assoluta perfezione stilistica, immagini ridotte, cristallizzate dentro mondi essenziali; riverberi che s’adagiano tra le oscurità della vita.


 


Risveglio


Dormivo; ed ecco, tra le mie braccia, ora che te ne sei andata, non resta che il dolce madore della tua pelle per la corsa a venirmi a vedere. Nessun risveglio così caro come quello da un sonno il cui pensiero era tua presenza, – ritrovata adesso nello slancio d’un bacio, al riaprire degli occhi.


 


Notte


Riapro gli occhi. Un lampo violaceo trapela improvviso per le finestre serrate. All’urlo del cielo i vetri s’aggricciano di terrore.


Mobile stanza, al guizzo della candela. Levato a sedere sul letto, guardo con brividi il palpito d’ombre sui muri, odo il gran pianto notturno del cielo convulso su questa tomba gelida.


 


Il mio sguardo adesso è fisso a pagina 37.


Onofri mi conquista imprigionando la mia di parola rendendola muta, adesso; improvvisamente:




Un bacio


Non sai quanto mi piace il rigurgito dei tuoi capelli sul tuo viso appassionato, quand’io te li metto in masse sulle guance e ti bacio dentro la bocca.


Solo il desiderio delle mie gambe che si metterebbero a ballare furiosamente, ti dice ch’io sono ubbriaco di te; e tu fingi di non crederlo ancora.


Ma quando passare nelle mie mani il sottile brivido omicida e mi scopri negli occhi il lampo che ti denuda e ti fa mia preda, allora io posso fare di te torto o ragione a mio talento, e conquistarti ancora sul pavimento, gemente impazzita, come fosse la prima volta.


 


Alla compagna


Della mia vita.


Ecco quanto scritto nell'esergo della raccolta Arioso.


Scrive Giorgio Vigolo: “In Arioso, Onofri abbandona quell’intransigente ortodossia e accoglie nella sua raccolta, rilavorandole e alleggerendole, alcune delle poesie già pubblicate in Lirica (1913) e perfino uno dei suoi più antichi Studi spirituali, che era apparso nel fascicolo di  Lirica del 1912 con sogno con titolo Realtà e poesia e che ora prende il nuovo titolo di Un luogo qualsiasi.”


Il sentimento lirico della natura e del mondo si alternano al tema idilliaco-familiare:


che odore d’infanzia e di favole!


Misteri che sveglia la notte


venuta a sedersi su mucchio di breccia…


Arturo Onofri pare un fanciullo incline a rendere frammento l'esistenza, quando l’immaginario è un incosciente stupore, mentre il rifugio, i piccoli nidi, la dolce casa, tutto è incantesimo ancora.


Aneliti di luce e di ombre, tripudio di voci intervallate dal silenzio della notte, lontananze gelate, i giochi dell'infanzia, un'ora felice che tutto abbellisce. Allora io dico: leggiamo questo grande poeta:


Mi sono sdraiato sull’erba, ma senza un battito al cuore, senza un brivido d’emozione, come un carbonaio ottuso dalla fatica. Ho ripensato con fredda avidità ai pensieri di ieri, ma ho volto lo sguardo attorno, incredulo io stesso che avessi potuto pensarli in quel luogo. E così mi sono accorto che il luogo non era un luogo, e che l’anima aveva riconosciuto sé stessa un momento.


Maria Grazia Nappa