Giorgio Anelli

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La nicchia - numero 18 - Sandro Bonvissuto racconta "Un'isola", di Giorgio Amendola

2024-01-24 18:58

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Rivista letteraria, Sandro Bonvissuto,

La nicchia - numero 18 - Sandro Bonvissuto racconta "Un'isola", di Giorgio Amendola

Una vita ce l’abbiamo tutti, il problema è cosa si intende farne

Senza rimproverare niente a nessuno

Nel libro che avete in mano ci sono due cose: la storia del mondo,



e la storia dei protagonisti. In pratica nelle stesse pagine



troverete una cosa più grande e una più piccola. È esattamente



quello che succede con gli ingranaggi di un orologio, dove



la rotellina piccina è attaccata, fa girare, e gira essa stessa, con



la ruota più grossa. Eppure in alcuni romanzi avviene che le



due cose si mettano a muoversi assieme, stavolta d’accordo e



in armonia, come metronomi che, partiti su tempi discordanti,



finiscano poi per trovare un unisono, uno stesso tempo del



battere e del levare. Eventi pubblici e privati si scambiano di



posto, di importanza, e sembra sia il racconto dei fatti narrati



nel libro a far girare la giostra dell’universo, e non il contrario



come normalmente dovrebbe essere. Gli avvenimenti dei



singoli risplendono nella realtà e nel tempo come fossero loro



il vero fine del mondo, qualcosa di sacro o divino, voluto



dalle stelle e dal destino. È quello che succede in questo libro



privo di quegli orizzonti esclusivamente soggettivi, di quell’egoismo



capriccioso e chiuso nel sogno di ogni io, di ciò che è



sordo e cieco al comune futuro di tutti, di quel fango che sporca



la trama del romanzo quando i protagonisti sono individui



che sentono solo i capitomboli e i traslochi della propria anima.



Amendola dipinge il corso degli eventi con i colori che ha



a disposizione, la sua penna non maneggia figure retoriche,



non sfoggia abilità sintattiche, il suo vocabolario è semplice,



la sua attività da scrittore è esattamente l’opposto di quella a



cui ambiscono gli autori moderni; si tratta solo di una lineare



sequenza narrativa, il racconto di gesta per lo più casalinghe



ma spesso nobili e magnanime, una specie di monologo silenzioso



attraverso il quale sentiamo e vediamo il prolungamento



dei suoi pensieri. Ne risulta un edificio di grande frugalità



narrativa, anche quando è chiaro come ci si trovi davanti a



eventi che stanno determinando la fine di un mondo e l’inizio



di un altro. La forza, la volontà inesorabile dei personaggi attori,



di vivere la propria realtà senza fuggire in aporetiche costruzioni



esistenziali borghesi e sovrastrutturate, è immergersi



in un’esistenza incerta ma vera, fortemente antiretorica. Che



poi è la vita come dovrebbe essere, dominata solo dal pensiero



e dalla relativa azione. I due protagonisti, divisi alla nascita



da un fato capriccioso, in una frattura che sembra spesso impossibile



da ricomporre, sono precipitati nelle loro biografie,



gonfie di contrarietà e contraddizioni, gettati così nel buio che



abita ogni destino individuale. Ma in questo libro il protagonista



è un altro: la sorte collettiva, generata da una volontà comune.



E loro due credono solo in quella. Infatti, mentre le rispettive



vite vanno in frantumi ogni giorno, sanno che i loro



pezzi serviranno per edificare un’esistenza diversa per tutti



quanti. Intanto i due non si disperdono. La narrazione dei fatti



li divide, eppure restano uniti. Li tiene insieme qualcosa che



è solo loro, qualcosa che sembra ignoto a tutti gli altri, una



forza d’ordine, una protezione, un regista occulto: l’amore.



Ancora più splendido nel caotico fluire di quegli anni, una voce



che rende il racconto fortemente univoco; la complessità



dei fatti non risulta affatto levigata, gli eventi della cronaca restano



ruvidi al tatto (si tratta dei prodromi della seconda guerra



mondiale), sono solo raccontati parlando di due che si amano.



Nel romanzo i fatti e i personaggi si intrecciano in modo



indissolubile, senza lacune o censure. Gli interpreti restano



così, sospesi, fluttuanti, ingenui, eroici, implicati in un dialogo



a un altissimo livello intellettuale; è gente che cerca in ogni



modo di essere all’altezza della propria vita. In un mondo che



si sta sbriciolando, dove l’incertezza è più forte del tentativo



di esorcizzarla, Giorgio e Germaine vivono col petto gonfio



d’amore, aperti alle primavere del mondo, ed è questa loro nobiltà



che ha scompaginato il rigido fluire della storia. Scompigliare



l’ordine rivoluzionario, dogmatico, normativo dei comunisti



in un disordine umano e affettivo, restituisce il carattere



impertinente e brusco degli avvenimenti, e tutto torna



sorprendente se guardato coi loro occhi; non erano certi che



l’Unione sovietica fosse davvero il paradiso dei lavoratori, sapevano



solo che Stalin era il nemico giurato di Hitler, e questa,



intanto, era già una buona notizia. C’è chi vede nei fatti



la realizzazione del disegno di qualche dio, ci sono i positivisti



che considerano il destino come un insieme di fatalità determinate



da un ingranaggio in movimento. Ma per Giorgio



cambia poco se noi ci risolviamo a leggere il libro con l’illuministica



fede nel progresso, oppure con la fiducia hegeliana



nella logica della storia, perché alla fine il messaggio contenuto



in queste pagine è più o meno questo: niente nella vita ha



davvero una coerenza ragionevole, è sempre l’amore a risultare



cruciale nell’economia della nostra salvezza. E per il resto i



due hanno giocato a carte col destino cercando di non perdere



la partita. Ma hanno giocato insieme. Belli i giorni da clandestini



a Parigi, con documenti di identità molto incerti, immersi in



quel gruppo di apolidi, esuli senza casa alla ricerca di una patria



immaginaria, metafora dell’imminente crollo di una certa Europa



e di ogni nazionalismo. Belle le figure dei dirigenti del Partito



(Togliatti, Grieco e Longo, e da lontano anche Gramsci),



raccontate da un Amendola che risulta bravo, anzi molto abile,



a districarsi nella politica, a coltivare rapporti personali, a gestire



gli equilibri di potere. Stupenda l’immagine di questo movimento



che si impegna a istruire i lavoratori, e le masse in genere,



coi libri, anche di filosofia se necessario. Più stupenda ancora



Germaine, quando loro si mancano di poco anche se lei è vicina,



addirittura dietro l’angolo. Ma si sente che aleggia comunque



da qualche parte, come la sera che Giorgio avrebbe dovuto



incontrarsi con una donna di nome Dominque ma arrivò tardi.



Dopo avrebbe conosciuto Germaine. Quindi non sempre fare



tardi a un appuntamento è un male. Meravigliosi i giovani



proletari in festa per le strade di Parigi il 14 luglio, e dietro di loro



la Francia, il paese che nel 1789 pronunciò quelle tre parole



d’ordine, che da sole rappresentano il vangelo del nuovo mondo,



che sarebbe stato esempio di giustizia sociale luogo dell’utopia,



dell’uguaglianza sposata con la libertà, unione dell’individualismo



e del collettivismo. E poi il ruolo delle donne nel



mondo della cospirazione, l’esilio dorato di Ponza e lo spirito



associazionista, e soprattutto il fatto che si trattasse di donne e



uomini che non sarebbero mai più potuti tornare indietro alle



usanze e alle abitudini dei loro genitori e dei loro nonni, gente



che era partita per un viaggio senza ritorno. Ma che te ne fai



del biglietto di ritorno se stiamo viaggiando verso il bene? Spesso



durante la lettura ti capita di chiudere il libro sulle ginocchia



e di chiederti chi fossero costoro. Anime venute dal nulla. Che



ci spiegano come una vita ce l’abbiamo tutti, il problema è cosa



si intende farne. E questi sanno bene cosa farne, spendono



l’unica che hanno nel modo più etico che c’è: combattere per



un’ideale, obbedire al cuore, amare sempre. Al cospetto della



loro, la nostra vita risulta molto misera, povera di fatti significativi,



o salienti. Se qualcosa è accaduto si deve essere trattato



di eventi occasionali. E anche il periodo in cui abbiamo vissuto



non è stato affatto così eccezionale, anzi, è un arco di tempo



pieno di lunghi periodi nei quali apparentemente non è successo



nulla. E la nostra coscienza comincia ad agitarsi durante la



lettura. Giorgio e Germaine non si chiedono mai che aspetto



abbia il progresso quello buono, e come fare a distinguerlo dal



resto. Perché il domani se lo stavano costruendo da soli, con le



proprie mani. Per questo l’avrebbero riconosciuto di sicuro:



adesso, qualunque cosa fosse venuta dal futuro avrebbe somigliato



a loro due.




Sandro Bonvissuto


Si ringrazia la casa editrice Minimum fax per la concessione della postfazione di Sandro Bonvissuto al libro "Un'isola" di Giorgio Amendola.






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