È sera. È sera tarda, qui. E fa freddo. Rimugino sui miei problemi. Non voglio scaldarmi con un liquore. Preferisco patire il freddo. Come se fossi un poeta russo, di quella generazione che ha fatto la storia della poesia universale. E quindi prenderò un foglio scritto dal mio taccuino. Lo strapperò. E gli darò fuoco. Per provare a scaldarmi.
Do fuoco al fuoco.
Rimugino.
Penso a quel qualcuno che ogni tanto prova a sbattermi in faccia delle verità. E prova a dire che parlare di una poesia, per esempio, non equivale a conoscere l’opera intera del poeta. Ma a me non importa. Perché so che sul più bello arrivo io, e do fastidio. Squaderno le carte. Esisto. Scrivo. Sono. Ho un dono. E voglio farne dono a qualcuno che non conosco ancora.
Per evitare di far morire un’altra sera. Per sfidare l’abisso nel quale mi sto inoltrando.
Non starò muto a fissare l’orrore, abbagliato dal freddo di queste mura.
Ho acceso un fuoco con i fogli del mio taccuino. E questa poesia mi ricorda chi sono. Che esisto. Ho un’identità, io. E scrivo. (Giorgio Anelli)
Ieri il deserto, domani il mare.
Qui
stretto con altri stretti
l’aperto è un sogno oltre il muro
e finalmente aria,
finalmente cielo
nel silenzio di Dio
da attraversare
Il sole sferza il vento,
il vento sferza la luce
Ore in pasto ai cani.
Un’altra sera muore.
Amare è una parola incomprensibile.
Qualcuno rema
un altro beve arso dal sale il sale.
Torme di anime sull’abisso
Guardiamo muti l’orrore
schiacciati nel freddo
abbiamo acceso un fuoco
tra le lingue del naufragio.
Marco Munaro