Le pagine di Harold Alva (Piura - Perù, 1978) non sono frutto di una spinta d’impeto: nascono dalla responsabilità, dall’etica di una scelta, dall’idea di un equilibrio possibile. Dalla consapevolezza che la parola poetica non sia un’utopia senza storia, ma una storia che aspira alla concretezza. Questo credo lo troviamo nella sua attività di scrittore e poeta, e anche in quella di analista politico e di editore energico nel promuovere la poesia latinoamericana. Fin da bambino, per la professione del padre, Alva veste i panni dell’errante, cambiando molte case, città, scuole, amici. Sono tanti i paesaggi geografici ed emotivi che abitano l’infanzia e la giovinezza di Harold Alva, costantemente teso tra l’incontro con l’Altro e la ricerca del Sé. Ed è proprio questo senso di sradicamento e di continuo “passaggio” che lo porta a coltivare le radici della poesia: in essa ritrova un luogo eletto a dimora, l’orizzonte a cui tendere per comprendersi, il presidio eretto a tutela della salvezza. Il linguaggio poetico funge da custode che sorveglia con cura l’istanza vitale dell’Uomo-Poeta. «Io evitavo questa poesia: / chiudevo le porte / perché non potessi disporre delle sue risorse, / per questo imparai / a consumarmi nelle metafore, / nelle antitesi della sera / quando l’acqua / raddoppiava le imperfezioni della mia strada»; «Forse la felicità è questo: / una poesia che si allontana dai segnali, / il tempo che si deconfigura / con la visita imperturbabile dell’insonnia / e un uomo in piedi / che parla ai suoi animali / leggendosi, / il giorno dopo l’incendio.» Monologo del sopravvissuto, accuratamente tradotto da Emilio Coco, è in primis la casa della memoria: un continuo crocevia di ricordi che rendono ogni volta Alva testimone dei tanti tempi che convivono nella grande camera creativa del suo inconscio e del suo pensiero. Molte liriche sembrano sequenze quasi cinematografiche e le immagini verbali sono rappresentate attraverso l’iconicità di chi come Alva da giovane disegnava fumetti. «Dipingo un albero all’altezza del silenzio, / un fiume a dieci metri di distanza / (per non affogarlo), / un lupo tra il fogliame / in agguato delle parole. / Dipingo un corvo in uno dei suoi rami, / un libro di Pizarnik, / una chiesuola: una mappa di pioggia / sul tronco singolare di una lavagna. / A Bogotá il freddo è una figura letteraria, / un pretesto per provare il fuoco / e, nel fuoco, / il tatto imparziale di un falò.» La raccolta è una “rimembranza” leopardiana che estende la sua morsa fino ai sotterranei più profondi della terra del passato. Tuttavia, non è – la sua – una celebrazione fine a se stessa, ma un riavvicinamento alla fonte primigenia dell’ispirazione che permette all’io lirico di ritrovarsi e di sopravvivere di fronte allo spaesamento e all’indeterminatezza. Le tante case del poeta si sovrappongono e coesistono, riscoprono il fondamento natio in un’unica stanza dove risuona il monologo – urgente, necessario, brulicante di senso – del sopravvissuto. Ed ecco che la poesia abbraccia i tanti volti del mondo; ricompone la frammentarietà dell’esistenza attraverso le parole della crescita; incarna il tempo della lotta ma anche la frontiera che apre la porta del sogno e della speranza: la possibilità della sopravvivenza. Di fronte al veleno dell’angoscia e della paura, troviamo l’antidoto dell’altrove: un altrove non illusorio, ma vissuto in tutto il suo attrito con l’esperienza e con la sua carica vitale: «Un aeroporto è una città, / la luce delle sue strade, / il sogno di quanti sopravvivono / all’incendio delle loro solitudini, / è un uomo che annota sul suo taccuino / la donna che cattura gli aerei. // La vita è questo: godere del volo; / scrivo un libro per non perdere il viaggio.» La dimensione creativa offre una notte in cui imbattersi coraggiosamente con gli antichi fantasmi; offre un viatico di conforto e sostegno attraverso il potere delle metafore; offre una valigia piena di passi per camminare lontano. In questo viaggio intimo e anche corporeo, Lima assume un ruolo importante: è una metropoli che, con la sua vastità abitativa e i tanti volti, coinvolge Alva come fosse un figlio o un fratello, eleggendolo suo cittadino del cuore (è un caso che Alva sia stato anche candidato a sindaco della capitale peruviana?). E sono proprio le contraddizioni di un’eterogeneità sociale così marcata a insediarsi nella casa ispirativa di Harold Alva e creano quella tensione energetica che si traduce in canto civile. AL OTRO LADO DE LA GALAXIA Papá sabe que lo pienso, por eso un geranio me sorprende a esta hora cuando la distancia es una mancha con la que me atrevo a despintar el cielo: sus árboles de cemento en las ventanas, los pájaros que todavía me asombran con el aleteo de sus palabras, el estribillo que anuncia la derrota del sol, su rabia oculta en mi nostalgia, la ira de Dios quebrándose en el agua con la precisión de un disparo perdiéndose al otro lado de la galaxia. Papá sabe cómo me siento, conoce las réplicas, el punto cardinal que mueve el día; en su hombro mi corazón es un gato escribiéndole sus siete vidas. DALL’ALTRA PARTE DELLA GALASSIA Papà sa che lo penso, per questo un geranio mi sorprende a quest’ora quando la distanza è una macchia con cui mi azzardo a cancellare il cielo: i suoi alberi di cemento alle finestre, gli uccelli che ancora mi stupiscono con il palpito delle loro parole, il ritornello che annuncia la sconfitta del sole, la sua rabbia nascosta nella mia nostalgia, l’ira di Dio che si frange nell’acqua con la precisione di uno sparo che si perde dall’altra parte della galassia. Papà sa come mi sento, conosce le risposte, il punto cardinale che muove il giorno; sulla sua spalla il mio cuore è un gatto che gli scrive le sue sette vite. MALECÓN HARRIS Detengo los ojos al filo de la niebla La noche cruza sus animales Con el estertor del tráfico Lima tiene esa oscura virtud Que induce a mis bestias a fracturar el precipicio La sangre de licanos Poseídos por la maldición del nosferatu Yo me quedo quieto en el malecón Apunto mis flechas hacia La Colmena Silencio la frase que se clava contra el vidrio Y la noche cruza sus animales Sobre el cuerpo de un orate Lima viene contigo Sus pájaros advierten la épica del desastre A veces pienso que la hierba Se detiene sobre mis manos Para penetrar en tus poemas Observo la calle El lagarto que trepa la ciudad Y el tráfico anuncia La soledad de tus entrañas Esa nostalgia acróbata que burla La oquedad de mi estrabismo Yo supe de ti por ellos Conocí las marcas de tu sombra Con la lengua de un pelícano Que frotaba las bocas de los ahogados Observo los cordeles de las azoteas Lima cuelga de ellos Como una camisa que se agita con violencia Y no es Lima Soy yo El cuervo que se rompe los párpados La voz Su lengua clandestina. MALECÓN HARRIS Fermo gli occhi sul filo della nebbia La notte incrocia i suoi animali Col rantolo del traffico Lima ha quell’oscura virtù Che induce le mie bestie a rompere il precipizio Il sangue di licani Posseduti dalla maledizione del nosferatu Io rimango fermo sul lungomare Punto le mie frecce verso La Colmena faccio tacere la frase che si conficca nel vetro E la notte incrocia i suoi animali Sul corpo di un folle Lima viene con te I suoi uccelli avvertono l’epica del disastro A volte penso che l’erba Si fermi sulle mie mani Per penetrare nelle tue poesie Osservo la strada Il lacerto che si arrampica sulla città E il traffico annuncia La solitudine delle tue viscere Quella nostalgia acrobata che si burla Della vacuità del mio strabismo Io seppi di te da essi Conobbi i segni della tua ombra Con la lingua di un pellicano Che sfregava le bocche degli annegati Osservo le corde delle terrazze Lima pende da esse Come una camicia che si agita violentemente E non è Lima Sono io Il corvo che si rompe le palpebre La voce La sua lingua clandestina. Poesie tratte da Monologo del sopravvissuto, di Harold Alva, trad. di Emilio Coco, Di Felice Edizioni, 2024. (La foto di copertina è di Bernardo Neri). Valeria Di Felice