Giorgio Anelli

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La nicchia - numero 67 - "Monologo del sopravvissuto"

2024-12-03 20:00

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Rivista letteraria, Emilio Coco,

La nicchia - numero 67 - "Monologo del sopravvissuto"

La poesia erratica di Harold Alva

Le pagine di Harold Alva (Piura - Perù, 1978) non sono frutto di una spinta d’impeto: nascono dalla responsabilità, dall’etica di una scelta, dall’idea di un equilibrio possibile. Dalla consapevolezza che la parola poetica non sia un’utopia senza storia, ma una storia che aspira alla concretezza. Questo credo lo troviamo nella sua attività di scrittore e poeta, e anche in quella di analista politico e di editore energico nel promuovere la poesia latinoamericana.


Fin da bambino, per la professione del padre, Alva veste i panni dell’errante, cambiando molte case, città, scuole, amici. Sono tanti i paesaggi geografici ed emotivi che abitano l’infanzia e la giovinezza di Harold Alva, costantemente teso tra l’incontro con l’Altro e la ricerca del Sé. Ed è proprio questo senso di sradicamento e di continuo “passaggio” che lo porta a coltivare le radici della poesia: in essa ritrova un luogo eletto a dimora, l’orizzonte a cui tendere per comprendersi, il presidio eretto a tutela della salvezza. Il linguaggio poetico funge da custode che sorveglia con cura l’istanza vitale dell’Uomo-Poeta.  «Io evitavo questa poesia: / chiudevo le porte / perché non potessi disporre delle sue risorse, / per questo imparai / a consumarmi nelle metafore, / nelle antitesi della sera / quando l’acqua / raddoppiava le imperfezioni della mia strada»; «Forse la felicità è questo: / una poesia che si allontana dai segnali, / il tempo che si deconfigura / con la visita imperturbabile dell’insonnia / e un uomo in piedi / che parla ai suoi animali / leggendosi, / il giorno dopo l’incendio.»


Monologo del sopravvissuto, accuratamente tradotto da Emilio Coco, è in primis la casa della memoria: un continuo crocevia di ricordi che rendono ogni volta Alva testimone dei tanti tempi che convivono nella grande camera creativa del suo inconscio e del suo pensiero. Molte liriche sembrano sequenze quasi cinematografiche e le immagini verbali sono rappresentate attraverso l’iconicità di chi come Alva da giovane disegnava fumetti. «Dipingo un albero all’altezza del silenzio, / un fiume a dieci metri di distanza / (per non affogarlo), / un lupo tra il fogliame / in agguato delle parole. / Dipingo un corvo in uno dei suoi rami, / un libro di Pizarnik, / una chiesuola: una mappa di pioggia / sul tronco singolare di una lavagna. / A Bogotá il freddo è una figura letteraria, / un pretesto per provare il fuoco / e, nel fuoco, / il tatto imparziale di un falò.»


La raccolta è una “rimembranza” leopardiana che estende la sua morsa fino ai sotterranei più profondi della terra del passato. Tuttavia, non è – la sua – una celebrazione fine a se stessa, ma un riavvicinamento alla fonte primigenia dell’ispirazione che permette all’io lirico di ritrovarsi e di sopravvivere di fronte allo spaesamento e all’indeterminatezza.


Le tante case del poeta si sovrappongono e coesistono, riscoprono il fondamento natio in un’unica stanza dove risuona il monologo – urgente, necessario, brulicante di senso – del sopravvissuto. Ed ecco che la poesia abbraccia i tanti volti del mondo; ricompone la frammentarietà dell’esistenza attraverso le parole della crescita; incarna il tempo della lotta ma anche la frontiera che apre la porta del sogno e della speranza: la possibilità della sopravvivenza.


Di fronte al veleno dell’angoscia e della paura, troviamo l’antidoto dell’altrove: un altrove non illusorio, ma vissuto in tutto il suo attrito con l’esperienza e con la sua carica vitale: «Un aeroporto è una città, / la luce delle sue strade, / il sogno di quanti sopravvivono / all’incendio delle loro solitudini, / è un uomo che annota sul suo taccuino / la donna che cattura gli aerei. // La vita è questo: godere del volo; / scrivo un libro per non perdere il viaggio.»


La dimensione creativa offre una notte in cui imbattersi coraggiosamente con gli antichi fantasmi; offre un viatico di conforto e sostegno attraverso il potere delle metafore; offre una valigia piena di passi per camminare lontano. In questo viaggio intimo e anche corporeo, Lima assume un ruolo importante: è una metropoli che, con la sua vastità abitativa e i tanti volti, coinvolge Alva come fosse un figlio o un fratello, eleggendolo suo cittadino del cuore (è un caso che Alva sia stato anche candidato a sindaco della capitale peruviana?). E sono proprio le contraddizioni di un’eterogeneità sociale così marcata a insediarsi nella casa ispirativa di Harold Alva e creano quella tensione energetica che si traduce in canto civile.


 


AL OTRO LADO DE LA GALAXIA


Papá sabe que lo pienso,


por eso un geranio me sorprende


a esta hora cuando la distancia es una mancha


con la que me atrevo a despintar el cielo:


sus árboles de cemento en las ventanas,


los pájaros que todavía me asombran


con el aleteo de sus palabras,


el estribillo que anuncia


la derrota del sol,


su rabia oculta en mi nostalgia,


la ira de Dios quebrándose en el agua


con la precisión de un disparo


perdiéndose


al otro lado de la galaxia.


Papá sabe cómo me siento,


conoce las réplicas,


el punto cardinal que mueve el día;


en su hombro


mi corazón es un gato


escribiéndole sus siete vidas.


 


DALL’ALTRA PARTE DELLA GALASSIA


Papà sa che lo penso,


per questo un geranio mi sorprende


a quest’ora quando la distanza è una macchia


con cui mi azzardo a cancellare il cielo:


i suoi alberi di cemento alle finestre,


gli uccelli che ancora mi stupiscono


con il palpito delle loro parole,


il ritornello che annuncia


la sconfitta del sole,


la sua rabbia nascosta nella mia nostalgia,


l’ira di Dio che si frange nell’acqua


con la precisione di uno sparo


che si perde


dall’altra parte della galassia.




Papà sa come mi sento,


conosce le risposte,


il punto cardinale che muove il giorno;


sulla sua spalla


il mio cuore è un gatto


che gli scrive le sue sette vite.




MALECÓN HARRIS


Detengo los ojos al filo de la niebla


La noche cruza sus animales


Con el estertor del tráfico


Lima tiene esa oscura virtud


Que induce a mis bestias a fracturar el precipicio


La sangre de licanos


Poseídos por la maldición del nosferatu


Yo me quedo quieto en el malecón


Apunto mis flechas hacia La Colmena


Silencio la frase que se clava contra el vidrio


Y la noche cruza sus animales


Sobre el cuerpo de un orate


Lima viene contigo


Sus pájaros advierten la épica del desastre


A veces pienso que la hierba


Se detiene sobre mis manos


Para penetrar en tus poemas


Observo la calle


El lagarto que trepa la ciudad


Y el tráfico anuncia


La soledad de tus entrañas


Esa nostalgia acróbata que burla


La oquedad de mi estrabismo


Yo supe de ti por ellos


Conocí las marcas de tu sombra


Con la lengua de un pelícano


Que frotaba las bocas de los ahogados


Observo los cordeles de las azoteas


Lima cuelga de ellos


Como una camisa que se agita con violencia


Y no es Lima


Soy yo


El cuervo que se rompe los párpados


La voz


Su lengua clandestina.


 


MALECÓN HARRIS


Fermo gli occhi sul filo della nebbia


La notte incrocia i suoi animali


Col rantolo del traffico


Lima ha quell’oscura virtù


Che induce le mie bestie a rompere il precipizio


Il sangue di licani


Posseduti dalla maledizione del nosferatu


Io rimango fermo sul lungomare


Punto le mie frecce verso La Colmena


faccio tacere la frase che si conficca nel vetro


E la notte incrocia i suoi animali


Sul corpo di un folle


Lima viene con te


I suoi uccelli avvertono l’epica del disastro


A volte penso che l’erba


Si fermi sulle mie mani


Per penetrare nelle tue poesie


Osservo la strada


Il lacerto che si arrampica sulla città


E il traffico annuncia


La solitudine delle tue viscere


Quella nostalgia acrobata che si burla


Della vacuità del mio strabismo


Io seppi di te da essi


Conobbi i segni della tua ombra


Con la lingua di un pellicano


Che sfregava le bocche degli annegati


Osservo le corde delle terrazze


Lima pende da esse


Come una camicia che si agita violentemente


E non è Lima


Sono io


Il corvo che si rompe le palpebre


La voce


La sua lingua clandestina.




Poesie tratte da Monologo del sopravvissuto, di Harold Alva, trad. di Emilio Coco, Di Felice Edizioni, 2024. (La foto di copertina è di Bernardo Neri).




Valeria Di Felice




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