Di Alessandra Corbetta so quasi nulla, ed è quel quasi del quale mi interessa parlare. Lo faccio attraverso i versi della sua poesia. Di una poesia in particolare, che mi ha alquanto colpito, poiché mi ci ritrovo nell’agguato della vita che ‒ tra virilità e compromessi ‒ non demorde nemmeno un secondo nell’intento di travolgerti come un’onda. La Madre retrocede nello splendore. Stare nel bosco è rinunciare, amare tanto. La bambina ha imparato da lei cos’è l’amore: guardare insieme la vipera cantare. In un angolo di bosco la Madre coltiva fiori rossi e canta la bellezza della vita. Stupita la guarda la bambina, osserva che sopportare cambia la luce delle cose. In un barattolo di vetro prepara occhi nuovi per il grande compromesso. E dorme e si sveglia intanto la bambina. L’ha sentita agitarsi nel lettino... C’è come uno sguardo nuovo in questi versi. Un sapersi muovere nel bosco. Un imparare cioè a stare al mondo, senza retrocedere, ma facendo esperienza. Anche se non so affatto che cosa Corbetta intenda “per il grande compromessoˮ. Non so nemmeno se il bosco di cui parla sia quello delle favole e delle fiabe; eppure c’è vita, c’è senso, e speranza in ogni verbo! Così una madre può osservare nel silenzio lo splendore di una figlia che sa già non essere più sua: “L’ha sentita agitarsi nel lettino…ˮ ‒ per questo scopre l’incanto. E la figlia, nel tempo breve o indefinito, impara che fiori rossi permettono di cantarne la bellezza. Comprende, soprattutto, ciò che conta veramente, ovvero “che sopportare cambia la luce delle cose.ˮ E anche se questo è il sacrificio più grande, persino una vipera può cantare. Non so, ora, se sono riuscito a dire qualcosa di quel quasi che è Alessandra Corbetta per me. Ma la sua poesia colpisce per gli insegnamenti che trascende. Per un positivo che oramai non è più scontato né detto. Per l’educazione che sottende a uno sguardo, a una lezione, al barbaglio dell’esempio. Giorgio Anelli