Franco Antonicelli è una mia vecchia conoscenza. Posso dire di averlo incontrato nella mia adolescenza, quando, folgorata da Cesare Pavese, camminavo per la mia città ricreando nelle mie fantasie – si sa, quella è un’età fantastica – la Torino di allora, le vie del centro, il lungo Po, il caffè Rattazzi e tutti quegli altri in cui Pavese solitario scriveva appartato e, insieme agli amici conosciuti al liceo, parlava di letteratura, attingendo dalla sua “sogneria” alcuni di quelli che un giorno da sogni si sarebbero trasformati in progetti e quindi in realtà. Gli amici erano Leone Ginzburg, Giulio Einaudi, Norberto Bobbio, Carlo Levi, Luigi Sturani, Massimo Bontempelli e, per l’appunto, Franco Antonicelli.[1] Fine critico letterario, traduttore, giornalista e saggista, Antonicelli dedicò la sua vita alla letteratura, promuovendone la diffusione, anche attraverso la pubblicazione per la prima volta Italia (con l’editore Frassinelli prima e con la sua casa editrice De Silva[2] poi) di opere immortali: alcune per tutte: “Il processo” di Kafka, “Moby Dick” di Melville, i primi Album di Mickey Mouse di Walt Disney. Antonicelli si distinse per gli scritti politici, anche per la stampa clandestina, negli anni della seconda guerra mondiale. Dichiaratamente antifascista (nel maggio 1935 venne arrestato a Torino e mandato al confino ad Agropoli), partecipò attivamente alla Resistenza (e venne nuovamente arrestato nel novembre del 1943); nel dopoguerra partecipò alla rinascita della vita civile e culturale di Torino, fondando l’Unione Culturale e partecipando alla fondazione del Centro Studi Piero Gobetti e del Circolo della Resistenza. Visse anche l’esperienza politica diretta, come Senatore della Repubblica indipendente nelle liste del PCI-PSIUP dal 1968 al 1977. Del Franco Antonicelli poeta non sapevo nulla, fino a quando non ho incontrato questo libro, edito da Scheiwiller nel 1967 in mille copie.
“Questi improvvisi sono nati così come si leggono, quasi stendendo involontariamente la mano a scriverli, senza averci pensato prima minimamente, anzi pensando e lavorando ad altro: per fermare con rapidità gli appunti di un’immagine, un’impressione, nel timore che come i sogni si sciogliessero senza residui”. Così scrive l’autore nella sua prefazione. E ancora: “mi accorgo che questi improvvisi sono frammenti di un diario di eventi segreti”. La maggior parte degli improvvisi, in tutto trentacinque, sono recenti, nel senso che sono stati scritti tra il 1966 e il 1967, anno di pubblicazione della raccolta, tranne alcuni rimasti sperduti nel tempo e riemersi a memoria dell’autore, come quello d’apertura. CARTOLINA A PAVESE[3] D’improvviso le Langhe! E t’ho pensato. Dure, gialle, custodi al sole, arate Da grandi ombre. Lì è nata la tua voce Il gusto dei solinghi pentimenti. Mesi non ci parliamo, anni, ma solo Per quell’urto del sangue che ho sentito Io ti saluto. Un’ombra c’è tra noi Che giudica severa i nostri stenti (5-VIII-1948) In calce a questa poesia, vergata a matita sulla copia da me acquistata nel mercato dell’usato, una… nota. Un messaggio in bottiglia del precedente proprietario del libro? Un… improvviso dello stesso autore, non inserito nella raccolta? Impossibile saperlo: mi approprio in ogni caso di quest’idea, di chiunque sia: leggere, perché una parola a caso può riportare tutto ciò che abbiamo dimenticato. Ecco le righe manoscritte: “Mettiti accanto questo libro ed apri una notte curiosa o una strana veglia e leggi a caso leggi perché una parola a caso ti riporti tutto ciò che avevi dimenticato Non terminerai tanto presto, questo, null’altro voglio.” (20-XI-1961)[4] Ma torniamo ai versi dell’Autore: -Se tu avessi detto di sì oggi saremmo Tra l’ombra e il sole su un loggiato Di legno alpino la mia mano Serena sulla tua e guarderemmo Stupiti il sole che si è fermato. -Ma non ho detto di sì ti rispondo Perché non voglio fermare il tuo tempo Perché bisogna che scorra come un’acqua Inflessibile fino in fondo. (10-V-1964) * Ho assaggiato carne di centauro: era nera acida di cuoio. Meglio un cavallo semplice. L’uomo Contamina tutto. (20-VIII-1966) * Un giorno come questo di settembre Dolcissimo che il sole tutto imbianca Di luce di silenzio di sopore E delle rose il solitario odore Incanta la tua casa di campagna In mezzo ai clivi ancora suoneranno Voci risa di noi che fummo vivi (18-ix-1967) * NEL GIORNO DEI MORTI Resisti con la forza delle spine Tu grazia rosa bianca ultimo addio Del giardino che muore in solitudine In questo giorno che i vivi ti abbandonano Sciamando a melanconici tripudi E io sol mi chino a respirarti (1-XI-1967) Daniela Bianco
[1] Nella foto di copertina, nell’ordine, da sinistra: Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e Carlo Frassinelli [2] De Silva pubblicò la prima edizione di “Se questo è un uomo” di Primo Levi, dopo il clamoroso rigetto del manoscritto da parte di Natalia Ginzburg per Einaudi [3] E’ lo stesso Antonicelli a spiegare nell’introduzione che la cartolina è stata scritta nel 1944 e che l’ombra degli ultimi due versi è quella di Leone Ginzburg, il grande amico comune morto il 5 febbraio del ’44 nel carcere di Regina Coeli in conseguenza delle torture subite dalla polizia nazifascista. [4] Per quel che vale l’impressione di chi scrive, la grafia è decisamente simile a quella che si ritrova nei manoscritti di Antonicelli che si possono reperire qui: https://www.francoantonicelli.it/ insieme a materiale, anche fotografico, molto interessante.