Sangue di Cane l’ho comprato prima di Natale. Di Veronica Tomassini avevo già letto “Vodka Siberiana” e ancora mi portavo addosso il Professore e la Creaturina, difficili da dimenticare. Sapevo dunque che avrei dovuto attendere, perché ci sono autori, e libri, a cui va dedicata la cura dell’attesa, l’ascolto del richiamo. Febbraio, per una serie di ragioni legate al mio passato ed al mio presente, era perfetto. E così sono rientrata in contatto con Lei, giovane siracusana, una famiglia “normale” come tante, e con Lui, il polacco, il semaforista, il clandestino, la canaglia, il delinquente: il sangue d’un cane. Lei vestiti puliti, aria per bene, studentessa, macchina a rate. Lui vestiti stracciati, senza dimora, pieno di vodka e di rabbia e di bellezza. Distanze siderali li separano, eppure condividono la vita del baratro. Lei è l’Inetta, la non vista, la non considerata: vive nel crepaccio dell’invisibilità. Lui è il reietto, l’uomo perduto, il dimenticato: vive nell’abisso della vodka e dell’annullamento di sé. Nel paradosso delle loro vite l’uno rappresenta la salvezza dell’altro: Lei finalmente vista, Lui finalmente accolto: Sicilia e Polonia, Inettitudine e Fierezza. Ma la salvezza ha un prezzo: la discesa negli inferi. E così Tomassini, con scrittura che è un artiglio, ci tira giù nel sottosuolo, popolato da uomini e donne che vivono come topi, al buio, nel fango, nel vomito e negli escrementi. Più morti che vivi, oltre la disperazione, oltre la legge, oltre la vita. E proprio qui, nel sottosuolo, tra abiezione e umiliazione, l’infinito amarsi e l’infinito soffrire. Al cuore dell’inferno Lei e Lui si amano, si sposano, fanno un figlio. Tra un abbandono e l’altro di quel sangue d’un cane, che si vende per una bottiglia di vodka, scintille di gioia pura. Altro non dico della loro storia d’amore, se non che questo romanzo non è una storia d’amore. Piuttosto è una danse macabre che riporta agli affreschi medievali, a Baudelaire, a Saint Saens, a Bergman, a Branduardi e Capossela. Un romanzo corale ed universale, i vivi con i morti a braccetto danzano con la Signora, che ora prende e cala la falce, ora stringe in un pas de deux e poi lascia andare. Una danza che non è (solo) memento mori, ma (innanzitutto) inno alla vita, alla nostra vita: siamo tutti in quel girotondo, e se la Morte è Signora del Tempo, noi siamo il Ritmo: il sangue che pulsa, il cuore che batte, la vita che scorre. Mi perdoni Veronica Tomassini se la mia “lettura” del suo romanzo non le appartiene o si discosta dal suo intento. Io sono fermamente convinta che la Letteratura destinata all’immortalità è quella che “cresce” con la Lettura, riflesso dei mille specchi che l’Autore è riuscito a creare e degli infiniti viaggi che il Lettore ha potuto fare nell’abisso del suo cuore. E Sangue di Cane è questo: Letteratura. Daniela Bianco