La nicchia - numero 18 - Sandro Bonvissuto racconta "Un'isola", di Giorgio Amendola

Senza rimproverare niente a nessuno

Nel libro che avete in mano ci sono due cose: la storia del mondo,
e la storia dei protagonisti. In pratica nelle stesse pagine
troverete una cosa più grande e una più piccola. È esattamente
quello che succede con gli ingranaggi di un orologio, dove
la rotellina piccina è attaccata, fa girare, e gira essa stessa, con
la ruota più grossa. Eppure in alcuni romanzi avviene che le
due cose si mettano a muoversi assieme, stavolta d’accordo e
in armonia, come metronomi che, partiti su tempi discordanti,
finiscano poi per trovare un unisono, uno stesso tempo del
battere e del levare. Eventi pubblici e privati si scambiano di
posto, di importanza, e sembra sia il racconto dei fatti narrati
nel libro a far girare la giostra dell’universo, e non il contrario
come normalmente dovrebbe essere. Gli avvenimenti dei
singoli risplendono nella realtà e nel tempo come fossero loro
il vero fine del mondo, qualcosa di sacro o divino, voluto
dalle stelle e dal destino. È quello che succede in questo libro
privo di quegli orizzonti esclusivamente soggettivi, di quell’egoismo
capriccioso e chiuso nel sogno di ogni io, di ciò che è
sordo e cieco al comune futuro di tutti, di quel fango che sporca
la trama del romanzo quando i protagonisti sono individui
che sentono solo i capitomboli e i traslochi della propria anima.
Amendola dipinge il corso degli eventi con i colori che ha
a disposizione, la sua penna non maneggia figure retoriche,
non sfoggia abilità sintattiche, il suo vocabolario è semplice,
la sua attività da scrittore è esattamente l’opposto di quella a
cui ambiscono gli autori moderni; si tratta solo di una lineare
sequenza narrativa, il racconto di gesta per lo più casalinghe
ma spesso nobili e magnanime, una specie di monologo silenzioso
attraverso il quale sentiamo e vediamo il prolungamento
dei suoi pensieri. Ne risulta un edificio di grande frugalità
narrativa, anche quando è chiaro come ci si trovi davanti a
eventi che stanno determinando la fine di un mondo e l’inizio
di un altro. La forza, la volontà inesorabile dei personaggi attori,
di vivere la propria realtà senza fuggire in aporetiche costruzioni
esistenziali borghesi e sovrastrutturate, è immergersi
in un’esistenza incerta ma vera, fortemente antiretorica. Che
poi è la vita come dovrebbe essere, dominata solo dal pensiero
e dalla relativa azione. I due protagonisti, divisi alla nascita
da un fato capriccioso, in una frattura che sembra spesso impossibile
da ricomporre, sono precipitati nelle loro biografie,
gonfie di contrarietà e contraddizioni, gettati così nel buio che
abita ogni destino individuale. Ma in questo libro il protagonista
è un altro: la sorte collettiva, generata da una volontà comune.
E loro due credono solo in quella. Infatti, mentre le rispettive
vite vanno in frantumi ogni giorno, sanno che i loro
pezzi serviranno per edificare un’esistenza diversa per tutti
quanti. Intanto i due non si disperdono. La narrazione dei fatti
li divide, eppure restano uniti. Li tiene insieme qualcosa che
è solo loro, qualcosa che sembra ignoto a tutti gli altri, una
forza d’ordine, una protezione, un regista occulto: l’amore.
Ancora più splendido nel caotico fluire di quegli anni, una voce
che rende il racconto fortemente univoco; la complessità
dei fatti non risulta affatto levigata, gli eventi della cronaca restano
ruvidi al tatto (si tratta dei prodromi della seconda guerra
mondiale), sono solo raccontati parlando di due che si amano.
Nel romanzo i fatti e i personaggi si intrecciano in modo
indissolubile, senza lacune o censure. Gli interpreti restano
così, sospesi, fluttuanti, ingenui, eroici, implicati in un dialogo
a un altissimo livello intellettuale; è gente che cerca in ogni
modo di essere all’altezza della propria vita. In un mondo che
si sta sbriciolando, dove l’incertezza è più forte del tentativo
di esorcizzarla, Giorgio e Germaine vivono col petto gonfio
d’amore, aperti alle primavere del mondo, ed è questa loro nobiltà
che ha scompaginato il rigido fluire della storia. Scompigliare
l’ordine rivoluzionario, dogmatico, normativo dei comunisti
in un disordine umano e affettivo, restituisce il carattere
impertinente e brusco degli avvenimenti, e tutto torna
sorprendente se guardato coi loro occhi; non erano certi che
l’Unione sovietica fosse davvero il paradiso dei lavoratori, sapevano
solo che Stalin era il nemico giurato di Hitler, e questa,
intanto, era già una buona notizia. C’è chi vede nei fatti
la realizzazione del disegno di qualche dio, ci sono i positivisti
che considerano il destino come un insieme di fatalità determinate
da un ingranaggio in movimento. Ma per Giorgio
cambia poco se noi ci risolviamo a leggere il libro con l’illuministica
fede nel progresso, oppure con la fiducia hegeliana
nella logica della storia, perché alla fine il messaggio contenuto
in queste pagine è più o meno questo: niente nella vita ha
davvero una coerenza ragionevole, è sempre l’amore a risultare
cruciale nell’economia della nostra salvezza. E per il resto i
due hanno giocato a carte col destino cercando di non perdere
la partita. Ma hanno giocato insieme. Belli i giorni da clandestini
a Parigi, con documenti di identità molto incerti, immersi in
quel gruppo di apolidi, esuli senza casa alla ricerca di una patria
immaginaria, metafora dell’imminente crollo di una certa Europa
e di ogni nazionalismo. Belle le figure dei dirigenti del Partito
(Togliatti, Grieco e Longo, e da lontano anche Gramsci),
raccontate da un Amendola che risulta bravo, anzi molto abile,
a districarsi nella politica, a coltivare rapporti personali, a gestire
gli equilibri di potere. Stupenda l’immagine di questo movimento
che si impegna a istruire i lavoratori, e le masse in genere,
coi libri, anche di filosofia se necessario. Più stupenda ancora
Germaine, quando loro si mancano di poco anche se lei è vicina,
addirittura dietro l’angolo. Ma si sente che aleggia comunque
da qualche parte, come la sera che Giorgio avrebbe dovuto
incontrarsi con una donna di nome Dominque ma arrivò tardi.
Dopo avrebbe conosciuto Germaine. Quindi non sempre fare
tardi a un appuntamento è un male. Meravigliosi i giovani
proletari in festa per le strade di Parigi il 14 luglio, e dietro di loro
la Francia, il paese che nel 1789 pronunciò quelle tre parole
d’ordine, che da sole rappresentano il vangelo del nuovo mondo,
che sarebbe stato esempio di giustizia sociale luogo dell’utopia,
dell’uguaglianza sposata con la libertà, unione dell’individualismo
e del collettivismo. E poi il ruolo delle donne nel
mondo della cospirazione, l’esilio dorato di Ponza e lo spirito
associazionista, e soprattutto il fatto che si trattasse di donne e
uomini che non sarebbero mai più potuti tornare indietro alle
usanze e alle abitudini dei loro genitori e dei loro nonni, gente
che era partita per un viaggio senza ritorno. Ma che te ne fai
del biglietto di ritorno se stiamo viaggiando verso il bene? Spesso
durante la lettura ti capita di chiudere il libro sulle ginocchia
e di chiederti chi fossero costoro. Anime venute dal nulla. Che
ci spiegano come una vita ce l’abbiamo tutti, il problema è cosa
si intende farne. E questi sanno bene cosa farne, spendono
l’unica che hanno nel modo più etico che c’è: combattere per
un’ideale, obbedire al cuore, amare sempre. Al cospetto della
loro, la nostra vita risulta molto misera, povera di fatti significativi,
o salienti. Se qualcosa è accaduto si deve essere trattato
di eventi occasionali. E anche il periodo in cui abbiamo vissuto
non è stato affatto così eccezionale, anzi, è un arco di tempo
pieno di lunghi periodi nei quali apparentemente non è successo
nulla. E la nostra coscienza comincia ad agitarsi durante la
lettura. Giorgio e Germaine non si chiedono mai che aspetto
abbia il progresso quello buono, e come fare a distinguerlo dal
resto. Perché il domani se lo stavano costruendo da soli, con le
proprie mani. Per questo l’avrebbero riconosciuto di sicuro:
adesso, qualunque cosa fosse venuta dal futuro avrebbe somigliato
a loro due.

Sandro Bonvissuto


Si ringrazia la casa editrice Minimum fax per la concessione della postfazione di Sandro Bonvissuto al libro "Un'isola" di Giorgio Amendola.