La nicchia - numero 38 - La parola-parabola di Nickole Brown

Il testo che segue, della poetessa americana Nickole Brown, si è aggiudicato nel 2024 il Treehouse Climate Action Poem Prize, un premio dedicato a quegli autori che attraverso la loro arte contribuiscono alla sensibilizzazione nei confronti delle problematiche ambientali.

Nickole Brown, originaria della Carolina del Nord, ha studiato letteratura all’Università di Oxford ed è autrice di diverse opere, tra cui The Donkey Elegies (Sibling Rivalry Press, 2020).

 Il testo proposto è interessante sia a livello contenutistico, ponendo l’accento sul punto di vista dell’animale (una giumenta), sia a livello linguistico e meta-linguistico.

In estrema sintesi, l’autrice chiede una pulizia del linguaggio prima di approdare a una pulizia della vista e della coscienza. Per non perdere la forza dei primi versi, ironici e taglienti, si è scelto di optare per una traduzione letterale o che comunque non inseguisse l’equivalenza culturale (“kill two birds with one stone” sarebbe in italiano il meno cruento “prendere due piccioni con una fava”, e “there’s more than one way to skin a cat” equivale all’innocuo “tutte le strade portano a Roma”).

Il titolo stesso, Parable, gioca con la doppia etimologia del termine parabola che è sia racconto istruttivo ma anche, a partire dal latino volgare, parola. La giumenta della poesia non sa parlare ma sa della cicala, del gallo, dei suoni e dei gesti. La parola che cade, in una parabola discendente, può essere salvifica nel momento in cui si incarna nel vivente ovvero si riappropria di un rapporto equilibrato e rispettoso della sua funzione pura.

La comprensione della poesia, potente e solo in apparenza didascalica (anche se il titolo rimanda ovviamente ad una qualche forma di insegnamento), si arricchisce nel momento in cui si va a indagare il ciclo vitale delle cicale (in particolare quello della specie americana Magicicada): esse vivono infatti, in uno stato ninfale, per 13 o 17 anni sottoterra, nutrendosi delle radici degli alberi. Quando il ciclo “oscuro” è completo, scavano delle piccole gallerie verso la luce, perdono l’esoscheletro giovanile, irrigidiscono le ali e iniziano il loro volo.

Non è quindi un caso che l’autrice abbia scelto questo piccolo insetto come simbolo di resilienza e armonia naturale, in un ciclo dove tutto trova una propria collocazione.

L’autrice ha inoltre messo in evidenza che “di recente il ciclo vitale ancestrale delle cicale è stato messo a rischio, secondo la comunità scientifica, dalla crisi climatica. E’ mia speranza quindi che la loro “emersione” sia da noi interpretata non come un’invasione ma come benedizione, e che possano cantare la loro canzone anche in occasione delle prossime levate simultanee, attese tra 221 anni a partire da ora*”.

*Le levate simultanee delle Magicicada sono un evento eccezionale nel regno animale. Si verificano appunto quando due generazioni di cicale periodiche emergono contemporaneamente dopo 221 anni.

 

Parabola

Nickole Brown

 

Non uccidiamo con una pietra un uccello,

tanto meno due. Non mettiamo mai un gatto

nel sacco e neppure scuoiamolo, per quanti

infiniti modi ci siano per farlo.

E mai prendiamo il toro, specialmente

per le sue meravigliose corna. Quello che intendo

 

è che potremmo controllare le nostre lingue o stare

in silenzio. Quello che intendo è che potremmo ripulire

dalla violenza il nostro linguaggio. E se troviamo

la verità nella bocca di una cavalla, benediciamo i suoi

 

molari consunti, non importa quanto sia vecchia

specialmente se ci è stata data

in dono. Di nuovo, apriamo la bocca- quella della cavalla,

intendo-tocchiamole gli spazi vuoti tra i denti dove

denti non sono cresciuti, dove il morso freddo si incastrava.

Toccatela lì, finalmente con gentilezza, toccate quel morbido

 

vuoto tra incisivi e molari, massaggiatele

le gengive delicate e doloranti. Non abbiate paura, la state calmando-

è ormai anziana, la descriveremmo come

usurata, non morderà. Ha superato

per due volte la venuta delle cicale, con cadenza di tredici anni ciascuna,

 

e nonostante il loro insorgere sia stata una invasione divina,

pensava che ogni insetto che turbinava fosse la ripetizione

dei tanti nomi di dio, perché per lei dio è

nelle erbe e ciò che dall’erba arriva è

dio. Lei non si esprimerebbe così. Neppure potrebbe

 

dire la parola cicala-le parole sono trappole

per ciò che può essere detto per mezzo del corpo, sono

quello che lei tollera quando viene cavalcata,

forza prima e basta dopo. A seguire

è tutto un brava ragazza, Mable, brava ragazza,

 

prima che la sella sia ripulita dal sudore

con acqua dalla canna e la carota sia offerta

sul palmo della mano. Sì, le parole sono

 

di solito inutili mentre lei invece ascolta

il gallo confuso che balbetta quando il sole

gli brucia la calotta, quando c’è caldo a sufficienza

per quei custodi del tempo per scavare gallerie dal buio

verso la luce e innervare le ali per averle

rigide e capaci di volare. Per lei è il suono

 

dell’inverno che arriva nella sua criniera-

dell’inverno che abbandona la sua criniera

sì, quel suono-come un ssh! liquido

come il desiderio colmo di sangue dello stallone, che una volta conosceva

ma più nitido, un fruscio secco di foglie

autunnali. Sì, quel suono, mentre riempiono le loro nuove ali

poi legname per la tettoia per chiederle

vieni qui, vieni qui, vieni

qui, adesso vieni.

 

Se questa è una parabola che non capisci

allora, caro umano, smetti di prestare attenzione alle parole.

Presta invece attenzione a criniera, vento, ali.

vento, criniera, ali, ali, ali.

La lezione qui è della cavalla

e degli insetti, e persino del gallo

pieno di sé, che passa oltre. Poiché adesso,

adesso c’è solo una cosa che valga la pena ascoltare

ed è la supplica di ogni essere vivente in quel campo

che chiamiamo nostro, è il comandamento di due parole

che vibra dagli alberi: lascia vivere, lascia vivere, lascia vivere.

Lo senti? Per piacere, dicono. Per piacere.

Lasciaci vivere.

 

Parable

Let us not with one stone kill one bird,
much less two. Let us never put a cat
in a bag nor skin them, regardless
of how many ways there are to do so.
And let us never take the bull, especially
by his gorgeous horns. What I mean is

we could watch our tongues or keep
silent. What I mean is we could scrub
the violence from our speech. And if we find
truth in a horse’s mouth, let us bless her

ground-down molars, no matter how
old she is, especially if she was given
as a gift. Again, let’s open her mouth——that of the horse,
I mean——let us touch that interdental space where
no teeth grow, where the cold bit was made to grip.
Touch her there, gently now, touch that gentle

empty between her incisors and molars, rub her
aching, vulnerable gums. Don’t worry: doing so calms her.
Besides, she’s old now; she’s what we call
broken; she won’t bite. She’s lived through
two thirteen-year emergences of cicadas

and thought their rising a god infestation,
thought each insect roiling up an iteration
of the many names of god, because god to her is
the grasses so what comes up from grass is
god. She would not say it that way. Nor would she

say the word cicada——words are hindrances
to what can be spoken through the body, are
what she tolerates when straddled,
giddy-up on one side then whoa on the other. After,
it’s all good girl, Mable, good girl,
before the saddle sweat is rinsed cool
with water from the hose and a carrot is offered
flat from the palm. Yes, words being

generally useless she listens instead
to the confused rooster stuttering when the sun
burns overhead, when it’s warm enough
for those time-keepers to tunnel up from the
dark and fill their wings to make them
stiff and capable of flight. To her, it is the sound

of winter-coming in her mane
or the sound of winter-leaving in her mane——
yes, that sound——a liquid shushing 
like the blood-fill of stallion desire she knew once
but crisper, a dry crinkle of fall
leaves. Yes, that sound, as they fill their new wings
then lumber to the canopy to demand
come here, come here, come
here, now come.

If this is a parable you don’t understand,
then, dear human, stop listening for words.
Listen instead for mane, wind, wings,
wind, mane, wings, wings, wings. 
The lesson here is of the mare
and of the insects, even of the rooster
puffed and strutting past. Because now,
now there is only one thing worth hearing,
and it is the plea of every living being in that field
we call ours, is the two-word commandment
trilling from the trees: let live, let live, let live.
Can you hear it? Please, they say. Please.
Let us live.  

Copyright © 2024 by Nickole Brown. Originally published in Poem-a-Day on April 28, 2024, by the Academy of America

 

Elena Cattaneo