La nicchia - numero 89 - Versi inediti tra le mie mani. In dialogo con Patrizia Antonicelli

2025-07-10 18:47

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Rivista letteraria, Daniela Bianco,

La nicchia - numero 89 - Versi inediti tra le mie mani. In dialogo con Patrizia Antonicelli

Daniela Bianco ringrazia la letteratura, che come il vento soffia dove vuole

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(…leggi perché una parola a caso ti riporti tutto ciò che avevi dimenticato…)

 

Quest’inverno scrivevo di Franco Antonicelli e dei suoi versi pubblicati sotto il titolo di “Improvvisi” da Scheiwiller nel 1967 in mille copie.

Raccontavo di questi versi manoscritti sulla mia copia trovata al solito mercatino:

 

Mettiti accanto questo libro ed apri      

 una notte curiosa o una strana veglia e leggi

 a caso leggi perché una parola a caso

ti riporti tutto ciò che avevi dimenticato

Non terminerai tanto presto, questo, null’altro voglio.”

 

(20-XI-1961)

 

Chi li scrisse? Lo stesso Antonicelli, forse, a mo’ di dedica per l’ignoto destinatario del libro? Una sorta di istinto mi diceva che sì, la mano che aveva vergato con il lapis doveva essere la sua. O forse era soltanto suggestione, da affidare con leggerezza a La Nicchia per poi non pensarci più.

Fino a quando, un giorno, arriva una mail: è di Patrizia Antonicelli, la figlia di Franco Antonicelli, che ha letto l’articolo che ho scritto per la Nicchia su suo padre.

Dopo uno scambio per le vie brevi – anche lei vive a Torino ci incontriamo: e dove se non da Platti, lo storico caffè di Corso Vittorio dove suo padre, Ginzburg, Pavese ed Einaudi si sedettero mille volte?

Patrizia ha un volto bellissimo ed una luce indomita sia nello sguardo che nel sorriso: assomiglia a suo padre. Dopo i convenevoli del caso, vado subito dritta alla questione.

 

Io: “Ho visitato a Sordevolo la meravigliosa villa che fu di suo nonno Annibale Germano”

Lei: “Io sono nata lì”.

 

E dolcemente, mi schiude lo scrigno dei suoi ricordi, la separazione dei suoi genitori durante la sua infanzia, lo studio del padre, le sue piccole vanità, la sua forza ed il suo coraggio.

Patrizia mi parla anche della sua vita straordinaria, dei molti anni passati all’estero e di una Torino d’élite chiusa ed ingenerosa nei confronti della memoria di suo padre[1].

 

Passiamo a darci del tu, e le chiedo se si ricorda di avere incontrato Pavese. Mi dice che no, era troppo piccola, ma era con suo padre, al mare, quando gli amici gli comunicarono la sua morte e ricorda bene quanto fosse sconvolto. Non riusciva a darsi pace, diceva per essere stato uno tra quelli che, vanamente, Pavese cercò la sera prima dell’estremo gesto.

“Patrizia le dico posso farti vedere il libro che ho trovato sulla bancarella?”

Lei lo prende, inforca gli occhiali e legge lentamente i versi a matita. “Ti confermo senza ombra di dubbio che questa è la scrittura di mio padre”, mi dice.

Sorrido. E mentre lo faccio Patrizia tira fuori dalla borsa “D’improvviso l’Italia – Luoghi e personaggi del cuore”, Passigli Editori 2022, una raccolta di articoli pubblicati qua e là dal padre, raffinate e al tempo stesso leggiadre descrizioni di luoghi simbolici e tratti dalla memoria. 

 

Voghera, il paese della sua infanzia, schiude il ricordo di odori, parole e visioni di campagna, mietiture e vendemmie, ciambelle di pan zuccherati e biscotti a forma di braccialetto delle sagre estive dove nelle aie polverose si cantavano filastrocche.

Son già parecchi anni, e quel cuore volante infantile s’è fermato. Il passato sono io. E amo il presente. Non si ama che quello contro cui si combatte. Cerco e indago e accetto quanto del passato mi serve a capire questi tempi di cui la possibile dolcezza mi è ignota e tutto l’aspro è un sapore senza del quale non saprei più vivere”.

 

Torino in primavera, timida e sensuale, con i suoi abbaini settecenteschi ritti come soldati a difendere una culla di cultura letteraria e di passione politica, Torino città “isolata, appartata, chiusa nel suo laborioso, meditativo silenzio, nella sua pace un po' mortificata, serie possibilità di nuove élite culturali e di forze civili d’avanguardia”.

 

E poi le Langhe, magnifico omaggio all’amico di Santo Stefano Belbo ed alla sua opera, un’autentica immersione nel caldo della terra, quel caldo, come dice il protagonista de La luna e i falò, “che sa un odore: ci sono dentro anch’io a quest’odore, ci sono dentro tante vendemmie e fienagioni e sfogliature, tanti sapori e tante voglie che non sapevo più di avere addosso”. Un pellegrinaggio nei luoghi pavesiani e nei ricordi di lui: dice Antonicelli: “Davvero quanti ricordi! Tutto quello che egli ha scritto ne è pieno, e quando i ricordi, quei ricordi, finirono, egli, esattamente, cessò di scrivere, e di vivere”; un viaggio in luoghi che “solo la sua memoria affascinata li ha resi così intensi. Quelle di Pavese non sono descrizioni, sono simboli lirici”

 

Ed ancora Agropoli, terra primordiale, dura e accogliente nello stesso modo, che lo vide confinato nel 1935, come Pavese a Brancaleone Calabro, come Levi a Eboli.

 

Antonicelli rimpiange l’occasione sprecata: a differenza degli amici, che trassero dalla loro esperienza magnifiche opere letterarie, lui non scrisse nulla. “Eppure passa il tempo, molto tempo, e nella mia vita avverto quel riferimento, quel punto fermo: io mi muovo e quel punto è là. E’ tutto quello che mi resta di allora. C’è dunque un nome nella mia vita, una memoria breve o lunga secondo la nostalgia del momento, un nome e una stagione che vorrei portarmi dietro fino all’ultimo giorno, e questo desidero tanto che già penso dipinta la mia tomba come quelle etrusche, con tutti i volti, i segni e i titoli delle cose che vi ho godute”.

 

L’excursus di Antonicelli lungo l’Italia percorsa nella sua vita continua, ed ogni tappa è un pretesto per cristallizzare un pensiero, svelare un ricordo, sviscerare uno spunto letterario.

 

Concludo questo piccolo resoconto di un incontro ringraziando Patrizia Antonicelli.

E la letteratura, che non sta mai ferma, e come il vento soffia dove vuole.

 

Daniela Bianco


 

[1] “Dichiaratamente antifascista (nel maggio 1935 venne arrestato a Torino e mandato al confino ad Agropoli), Franco Antonicelli partecipò attivamente alla Resistenza (e venne nuovamente arrestato nel novembre del 1943); nel dopoguerra partecipò alla rinascita della vita civile e culturale di Torino, fondando l’Unione Culturale e partecipando alla fondazione del Centro Studi Piero Gobetti e del Circolo della Resistenza. Visse anche l’esperienza politica diretta, come Senatore della Repubblica indipendente nelle liste del PCI-PSIUP dal 1968 al 1977.”  https://www.giorgioanelli.com/blog-detail/post/207689/voci-libere-5-improvvisi-la-poesia-di-franco-antonicelli

 

Giorgio Anelli

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