La nicchia - numero 17 - Louis Zukofsky, l’ossessione della parola
“La musica dei poeti varia col variare della sensibilità del loro orecchio”, William Carlos Williams -Sulla poesia di L. Zukofsky, in prefazione a Da A (Guanda, 1970, traduzione di Giovanni Galtieri).
Anni fa, indagando i legami tra il poeta inglese Charles Tomlinson e gli oggettivisti americani, mi sono inevitabilmente imbattuta in Louis Zukofsky (1904-1978), poeta ebreo americano che per primo, negli anni Trenta, ha utilizzato il termine “objectivist” in relazione alla poesia, smarcandosi poi dalla gabbia della definizione di poeta oggettivista che percepiva come costruzione critica e accademica. Leggerlo, per quanto in modo incompleto, ha radicalmente mutato la mia visione della poesia.
Louis Zukofsky, spesso associato all’illeggibilità sia per l’utilizzo di una lingua colta e rarefatta, ricchissima di rimandi letterari e linguistici, da Catullo a Petrarca fino al gergo del ghetto, ma anche per una gestione della struttura poetica dove impasta il rigore della musica alta (Bach tra i suoi maggiori riferimenti) e le litanie della tradizione ebraica, si fece subito notare nel mondo letterario con Poem beginning ‘The’ (pubblicato da Pound nel 1928 in The Exile) in cui, ancora studente, si confronta con i primi modernisti e cerca la sua strada anche attraverso l’ironia e la satira (soprattutto in riferimento a The Wast Land).
Tra gli innumerevoli spunti di riflessione che una vicenda umana e artistica così eterogenea e ricca impone, è importante ricordare che per Louis Zukofsky, figlio di immigrati russi nel ghetto di New York, la prima lingua è stata l’yddish e che solo in seguito è arrivata la lingua inglese. Lo sottolinea il poeta stesso nel suo Autobiography (1970), ricordando che in yddish, nei primi dieci anni di vita, aveva assistito alle opere di Shakespeare, Ibsen e Strindberg e allo stesso modo gli veniva letto Tolstoj, Longfellow ed Eschilo. La poesia scritta in inglese è arrivata dopo e, tra le altre cose, è stato veicolo di emancipazione oltre che di ricerca e definizione di sé. L’arguto attacco poetico, che è comunque un profondo omaggio, alla Waste Land assume quindi i contorni non tanto di un gioco accademico, ma anche di un processo liberatorio e di affrancamento sociale.
È però “A”, poema lungo una vita ovvero completato tra il 1924 e il 1978 (alla morte dell’autore), con varie pause e riprese, che stupisce e sconvolge. L’opera, imponente e impervia, è suddivisa in 24 “movimenti” (più di 800 pagine) che abbracciano ogni tipo di ritmo, sincopato o regolare, continuo o intermittente. Una poesia nata per essere letta ad alta voce, recitata, seguita fino al balbettio e quindi il silenzio. Un poema, ormai associato in una triade ideale ai Cantos e al Paterson (W.C. Williams e Zukofsky sono stati anche grandi amici), che è una vita e che di essa riporta eventi autobiografici, minori e oscuri, così come stralci di Storia e strappi epocali. Una vita che viene resa in versi per essere oggetto e poi immersa in una poetica ossessiva, audace e temeraria, impossibile per certi aspetti. Ogni movimento di “A” (l’autore ha voluto che il titolo comparisse sempre virgolettato) è seguito da un numero. Dal punto di vista stilistico la virata più importante, non scevra da critiche violente, avviene a partire da “A”-13 (composto negli anni Sessanta), dove si abbandona la struttura musicale evidente (“A”-12 è costruito sullo schema bachiano dell’Arte della Fuga) per abbracciare una composizione retta da schemi arbitrari e quasi-matematici. Alla musica, in modo diretto, l’opera torna inequivocabilmente nell’ultimo movimento, “A”-24, un libro autonomo che è un masque in cinque parti con gli arrangiamenti di Celia Zukofsky su musiche di Händel.
L’opera monumentale di Louis Zukofsky, da decenni ormai studiata e vivisezionata in ogni suo brandello linguistico e sonoro, libera la poesia rendendola senza limiti laddove è proprio la lingua a costringerla e crocifiggerla attraverso una Parola illimitata come lo sguardo di un dio.
Bach e Händel ma anche Xenakis e Cage, fino al nulla e di nuovo Da Capo.
“A” -1 (1928)
[…]
The Passion According to Matthew,
Composed seventeen twenty-nine,
Rendered at Carnagie Hall,
Nineteen twenty-eight,
Thursday evening, the fifth of April.
The Autos parked, honking.
“A”-1
[…]
La Passione Secondo Matteo,
Composta nel settecentoventinove
Eseguita alla Carnagie Hall
Novecentoventotto
Giovedì sera, cinque aprile.
Le auto in sosta, strombazzanti.
“A”-11 1950
For Celia and Paul
River that must turn full after I stop dying
Song, my song, raise grief to music
Light as my loves’ thought, the few sick
So sick of wrangling: thus weeping,
Sounds of light, stay in her keeping
And my son’s face — this much for honor.
[…]
“A”-11
Per Celia e Paul*
Fiume che dovrai ricolmarti allorché io
Avrò finito di morire – canzone
O mia canzone, innalza il dolore alla Musica
Lieve come il pensiero dei miei amori, i pochi
Sazi, così sazi di liti: e pertanto
Piangendo, suoni di luce, restate
In sua custodia e del viso
Di mio figlio – è questo
Tutto l’onore che voglio.
[…]
*Celia Thaew, compositrice, moglie del poeta – Paul Zukofsky, violinista, figlio del poeta
“A”-14 1965 (fonte: Poetry Magazine n.1, New York)
beginning An
An
orange
our
sun
fire
pulp
whets
us
(everyday)
for
us
eat
it
its
fire’s
unconsumed
“A”-14
inizia con Una
Una
arancia
nostro
sole
fuoco
polpa
energizza
noi
(sempre)
per
noi
mangiare
essa
il (suo)
fuoco (è)
intatto
I primi due stralci e le relative traduzioni sono tratte dal testo dell’editore Guanda, già citato in apertura, mentre la versione italiana del brano da “A”-14 è di Elena Cattaneo.
Tra le innumerevoli risorse online dedicate a LZ, si segnala: https://writing.upenn.edu/pennsound/x/Zukofsky.php
dove è possibile ascoltare alcune letture del poeta oltre che registrazioni di conferenze e interventi pubblici.
Elena Cattaneo