La poesia è un dono. È il dono più ambito. Qualcosa da assaporare, prima ancora che vivere, respirare. Prima ancora che essere poeti ‒ intendo ‒ occorre essere poesia: attraversarla, come se si fosse un uomo o una donna in fuga, alla deriva, verso gli scogli dell’esilio.
La poesia può comunque nascere ‒ s’intende ‒ in mille modi e altrettante forme. Quella di Valeria Cartolaro parte da delle disregolazioni, da cui il titolo della raccolta edita da Transeuropa.
Le disregolazioni emotive sono delle incapacità di regolare l’intensità e la durata delle proprie emozioni, portando a reazioni impulsive e sproporzionate.
Ma a noi non pare che i versi di Cartolaro rappresentino unicamente difficoltà a identificare, comprendere e gestire le proprie emozioni, sia positive che negative, con conseguenze negative sul funzionamento quotidiano e sulle relazioni interpersonali. A noi sembra, piuttosto, che il verso sia verità e il verbo sia vissuto del reale.
Noi che ci raccontiamo le morti e la troppa vita
finiremo nei laghi ghiacciati sotto lastre
ponti di legno
a camminare con le scarpe slacciate
con il rischio di inciampare
il viso cianotico sarà il nostro specchio
bianco di un bianco che umilia
Senti questa mente
quel glicine doloroso
rampica la punta
suona di un colore
irretito con l’inganno
fumano gli occhi
le loro pallide piante
ustionano le palme
o le braci
una terra bagnata che aspetta
su quel secco albero
a rapire le gemme
Se la poesia come detto è un dono, essa non può far altro che incitarci alla costanza della battaglia, contro l’appiattimento di un mondo che tutto sa ma nulla trattiene. Se la poesia dopotutto è un dono, occorre chinarsi a studiarla, abbeverarsi alle sue infinite fonti. Solo allora saremo pronti a scrivere versi, a incidere parole sul foglio bianco, che nulla attende e tutto spera.
Ecco perché Valeria Cartolaro ci sembra di questa “razzaˮ di poeti. Cocciuta e determinata. E l’opera prima promette, nella pazienza del tempo, nuove ulteriori sorprese.
Se il dio muto si impigrisce
il cane attraversa il campo tutto solo
la sua bocca è un mattino
i suoi arti, meccanici congegni della fine
succhia la linfa e chiude le ombre
un andare incerto, allungato
su quella vena di fuoco che impazza
segue la traiettoria e brucia la mente
Giorgio Anelli