Giorgio Anelli

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La nicchia - numero 81 - Simone Cattaneo, come Cesare Pavese, Gabriele Galloni e Lorenzo Pataro…

2025-04-08 17:11

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Rivista letteraria,

La nicchia - numero 81 - Simone Cattaneo, come Cesare Pavese, Gabriele Galloni e Lorenzo Pataro…

Cosa è inutile ribadire

Alcuni anni fa (precisamente nel 2020), dopo la morte di Gabriele Galloni, mi sentii in dovere di scrivere un articolo su Pangea per tentare di dare speranza a chi era rimasto. Ai suoi amici, ai poeti, a tutti coloro che, in un modo o in altro, sanno cosa significhi sprofondare nell’ultimo baratro. Perché come spesso si dice, la sofferenza è di chi resta.


Ma non avevo preso in considerazione l’altro lato della medaglia. Ovvero, che la sofferenza è anche di chi affronta l’indicibile, l’insopportabile, e probabilmente non ha le forze, le energie, per poter fuggire dal male che lo affoga. Proprio per questo si compie l’estremo gesto, chiusi in un silenzio inattaccabile.


Ne parlo oggi perché recentemente qualcosa del genere l’ho provata anch’io. Anch’io, come molti, ho grossi problemi da affrontare, e se non si trovano le soluzioni adeguate, si rischia di cadere in depressione. Peggio. A volte si rischia il tuffo nel vuoto.


L’altra settimana ero con delle persone e stavo raccontando chi era Ernest Hemingway, e del fatto che si era suicidato. Queste persone, non sapendo nulla di letteratura, ci scherzavano su: Ah!, un premio Nobel che si spara! ‒ e tutti giù a ridere.


Siccome si parlava anche di varie difficoltà, improvvisamente, stizzito da quell’umorismo a buon mercato, feci il gesto con la pistola puntandomi il dito alla tempia. Hemingway, con un fucile, fece proprio così, spiegai, quasi in atto di sfida.


Ma la mia non era sfida. Mi accorsi poco dopo, congedandomi, che per la prima volta in vita mia, seppur indirettamente, avevo pensato al suicidio. E che mai avrei immaginato di poterlo pensare. E che ne rimasi annichilito per diverse ore.


Forse quando si è nell’occhio di un ciclone (qualsiasi esso sia) e non si ha alcun luogo per ripararsi (fosse anche la fiducia nell’abbraccio o nell’ascolto da parte di qualchedun altro), quando tutto sembra crollare nell’oblio e non si vedono soluzioni a portata di mano, forse possiamo davvero capire, seppur per pochi istanti, giorni, o ore, che cosa può provare davvero quella donna o quell’uomo che decidono irresolubilmente di porre fine alla loro vita.


Chi vi scrive questa volta non cerca di dare speranza ad alcuno. Non cerca nemmeno aiuto. Vuole tuttavia ricordare che qualsiasi vita la si gioca camminando su una corda tesa, e che da un momento all’altro (per chiunque) tutto può improvvisamente cambiare.


Chi vi scrive, forse ora sa, cosa è inutile ribadire.


 


Giorgio Anelli