Piove che Dio la manda. Non so nemmeno se riuscirò a raggiungere Torino. Ma intanto da qualche giorno ho ripreso a tradurre. E la musica inonda la stanza-studio. Io danzo, rimbalzo, impazzo! Traduco. Se scrivere poesie, romanzi, racconti, lettere, saggi, frammenti, diari ‒ significa avere cura del giardino; tradurre è abbandonare il giardino per entrare (addentrarsi) nel bosco. E te lo scrivo / te lo dico, lettore, da poeta povero qual sono. Tu non sai quante rinunce sono costretto a fare ultimamente ‒ da qui all’eternità. Come se fosse o diventasse un’abitudine. Quando in realtà sono pianti soffocati nel silenzio. La solitudine è il bosco che continuo a attraversare da decenni. Non pensavo che in letteratura potesse esistere. Probabilmente ho dimenticato le fiabe e le favole che mi leggevano e leggevo da bambino. Forse ho dimenticato persino quelle che ho studiato all’università. Comunque, la solitudine è la scelta di un destino. Il mio altare è la scrivania nella stanza-studio, sulla quale leggo e scrivo. E le parole sono sacre. Ne dovremo rendere conto un giorno. Il poeta che ama il ruggito degli elementi, ora attraversa ‒ giorno per giorno ‒ la prova più dura. Come se non avesse già vissuto abbastanza quel giorno per giorno. Non si finisce mai di ubbidire al destino avverso. A quest’universo che ci contiene nel soffio della natura. Insomma, ballo, traduco, danzo. ‒ Non mi hai mai visto danzare nella stanza-studio… ‒ E attendo. Non solo che torni l’ispirazione. Attendo sul serio che qualcuno mi venga a trovare, da Milano, da Torino, da ovunque egli sia e abiti. Poiché è vero quel che scrivo di me: Sono poeta e scrittore, ho a che fare con la povertà, il silenzio, la solitudine, il destino. Oggi più che mai. Giorgio Anelli