Sono sere ‒ che dico, settimane! ‒, forse intere notti che vivo come i gatti. Ascolto musica e ballo nella stanza-studio. Sposto i libri. Come migrazioni negli oceani o nei cieli più esemplari, i libri si ricordano di me, e io di loro; ché li avevo dimenticati nella menzogna della vita. Forse sto preparando un rito; attendo il ritmo di una canzone che diventi strofa, verso, capoverso dell’immaginazione. Non mi muovo da qui: scrivo, piango, soffro, medito ‒ prego soltanto: che tante cose vadano a posto, che qualcosa di buono ancora io possa fare… Eccoli, nuovamente schierati, così belli! Fanno parte della mia vita, di una consuetudine antica. I libri sono richiami al bello e al vero, nell’eterna libertà che attraversa il buio. Quindi, sposto, m’impolvero, respiro ciò che mi fa male e pur mi tiene vivo.
Poi compare lui, un libro fatto di fiamme, pubblicato per quale scopo? Il traduttore è Lorenzo Scandroglio. Ma Lorenzo non c’è più, se n’è andato. E qualcuno ha fatto il libro, perché?! Forse per ricordarlo, per omaggiarlo. Appena nato, cadde subito nel silenzio. Mi ero pure proposto di presentarlo io da qualche parte, in qualche luogo. È il libro di un amico! Ma una risposta, alla mia proposta, secca e indifferente, mi ha lasciato e mi lascia tuttora basito. E allora mi rintano: mi tuffo, emergo, riemergo. Non m’importa nient’altro. Annego tra le parole immortali. Non m’importa d’altro. La letteratura è ostinata lontananza. Spregio del nemico. Eterna concupiscenza. Ave, Lorenzo ‒ ma per davvero. Giorgio Anelli