Senza rimproverare niente a nessuno Nel libro che avete in mano ci sono due cose: la storia del mondo, e la storia dei protagonisti. In pratica nelle stesse pagine troverete una cosa più grande e una più piccola. È esattamente quello che succede con gli ingranaggi di un orologio, dove la rotellina piccina è attaccata, fa girare, e gira essa stessa, con la ruota più grossa. Eppure in alcuni romanzi avviene che le due cose si mettano a muoversi assieme, stavolta d’accordo e in armonia, come metronomi che, partiti su tempi discordanti, finiscano poi per trovare un unisono, uno stesso tempo del battere e del levare. Eventi pubblici e privati si scambiano di posto, di importanza, e sembra sia il racconto dei fatti narrati nel libro a far girare la giostra dell’universo, e non il contrario come normalmente dovrebbe essere. Gli avvenimenti dei singoli risplendono nella realtà e nel tempo come fossero loro il vero fine del mondo, qualcosa di sacro o divino, voluto dalle stelle e dal destino. È quello che succede in questo libro privo di quegli orizzonti esclusivamente soggettivi, di quell’egoismo capriccioso e chiuso nel sogno di ogni io, di ciò che è sordo e cieco al comune futuro di tutti, di quel fango che sporca la trama del romanzo quando i protagonisti sono individui che sentono solo i capitomboli e i traslochi della propria anima. Amendola dipinge il corso degli eventi con i colori che ha a disposizione, la sua penna non maneggia figure retoriche, non sfoggia abilità sintattiche, il suo vocabolario è semplice, la sua attività da scrittore è esattamente l’opposto di quella a cui ambiscono gli autori moderni; si tratta solo di una lineare sequenza narrativa, il racconto di gesta per lo più casalinghe ma spesso nobili e magnanime, una specie di monologo silenzioso attraverso il quale sentiamo e vediamo il prolungamento dei suoi pensieri. Ne risulta un edificio di grande frugalità narrativa, anche quando è chiaro come ci si trovi davanti a eventi che stanno determinando la fine di un mondo e l’inizio di un altro. La forza, la volontà inesorabile dei personaggi attori, di vivere la propria realtà senza fuggire in aporetiche costruzioni esistenziali borghesi e sovrastrutturate, è immergersi in un’esistenza incerta ma vera, fortemente antiretorica. Che poi è la vita come dovrebbe essere, dominata solo dal pensiero e dalla relativa azione. I due protagonisti, divisi alla nascita da un fato capriccioso, in una frattura che sembra spesso impossibile da ricomporre, sono precipitati nelle loro biografie, gonfie di contrarietà e contraddizioni, gettati così nel buio che abita ogni destino individuale. Ma in questo libro il protagonista è un altro: la sorte collettiva, generata da una volontà comune. E loro due credono solo in quella. Infatti, mentre le rispettive vite vanno in frantumi ogni giorno, sanno che i loro pezzi serviranno per edificare un’esistenza diversa per tutti quanti. Intanto i due non si disperdono. La narrazione dei fatti li divide, eppure restano uniti. Li tiene insieme qualcosa che è solo loro, qualcosa che sembra ignoto a tutti gli altri, una forza d’ordine, una protezione, un regista occulto: l’amore. Ancora più splendido nel caotico fluire di quegli anni, una voce che rende il racconto fortemente univoco; la complessità dei fatti non risulta affatto levigata, gli eventi della cronaca restano ruvidi al tatto (si tratta dei prodromi della seconda guerra mondiale), sono solo raccontati parlando di due che si amano. Nel romanzo i fatti e i personaggi si intrecciano in modo indissolubile, senza lacune o censure. Gli interpreti restano così, sospesi, fluttuanti, ingenui, eroici, implicati in un dialogo a un altissimo livello intellettuale; è gente che cerca in ogni modo di essere all’altezza della propria vita. In un mondo che si sta sbriciolando, dove l’incertezza è più forte del tentativo di esorcizzarla, Giorgio e Germaine vivono col petto gonfio d’amore, aperti alle primavere del mondo, ed è questa loro nobiltà che ha scompaginato il rigido fluire della storia. Scompigliare l’ordine rivoluzionario, dogmatico, normativo dei comunisti in un disordine umano e affettivo, restituisce il carattere impertinente e brusco degli avvenimenti, e tutto torna sorprendente se guardato coi loro occhi; non erano certi che l’Unione sovietica fosse davvero il paradiso dei lavoratori, sapevano solo che Stalin era il nemico giurato di Hitler, e questa, intanto, era già una buona notizia. C’è chi vede nei fatti la realizzazione del disegno di qualche dio, ci sono i positivisti che considerano il destino come un insieme di fatalità determinate da un ingranaggio in movimento. Ma per Giorgio cambia poco se noi ci risolviamo a leggere il libro con l’illuministica fede nel progresso, oppure con la fiducia hegeliana nella logica della storia, perché alla fine il messaggio contenuto in queste pagine è più o meno questo: niente nella vita ha davvero una coerenza ragionevole, è sempre l’amore a risultare cruciale nell’economia della nostra salvezza. E per il resto i due hanno giocato a carte col destino cercando di non perdere la partita. Ma hanno giocato insieme. Belli i giorni da clandestini a Parigi, con documenti di identità molto incerti, immersi in quel gruppo di apolidi, esuli senza casa alla ricerca di una patria immaginaria, metafora dell’imminente crollo di una certa Europa e di ogni nazionalismo. Belle le figure dei dirigenti del Partito (Togliatti, Grieco e Longo, e da lontano anche Gramsci), raccontate da un Amendola che risulta bravo, anzi molto abile, a districarsi nella politica, a coltivare rapporti personali, a gestire gli equilibri di potere. Stupenda l’immagine di questo movimento che si impegna a istruire i lavoratori, e le masse in genere, coi libri, anche di filosofia se necessario. Più stupenda ancora Germaine, quando loro si mancano di poco anche se lei è vicina, addirittura dietro l’angolo. Ma si sente che aleggia comunque da qualche parte, come la sera che Giorgio avrebbe dovuto incontrarsi con una donna di nome Dominque ma arrivò tardi. Dopo avrebbe conosciuto Germaine. Quindi non sempre fare tardi a un appuntamento è un male. Meravigliosi i giovani proletari in festa per le strade di Parigi il 14 luglio, e dietro di loro la Francia, il paese che nel 1789 pronunciò quelle tre parole d’ordine, che da sole rappresentano il vangelo del nuovo mondo, che sarebbe stato esempio di giustizia sociale luogo dell’utopia, dell’uguaglianza sposata con la libertà, unione dell’individualismo e del collettivismo. E poi il ruolo delle donne nel mondo della cospirazione, l’esilio dorato di Ponza e lo spirito associazionista, e soprattutto il fatto che si trattasse di donne e uomini che non sarebbero mai più potuti tornare indietro alle usanze e alle abitudini dei loro genitori e dei loro nonni, gente che era partita per un viaggio senza ritorno. Ma che te ne fai del biglietto di ritorno se stiamo viaggiando verso il bene? Spesso durante la lettura ti capita di chiudere il libro sulle ginocchia e di chiederti chi fossero costoro. Anime venute dal nulla. Che ci spiegano come una vita ce l’abbiamo tutti, il problema è cosa si intende farne. E questi sanno bene cosa farne, spendono l’unica che hanno nel modo più etico che c’è: combattere per un’ideale, obbedire al cuore, amare sempre. Al cospetto della loro, la nostra vita risulta molto misera, povera di fatti significativi, o salienti. Se qualcosa è accaduto si deve essere trattato di eventi occasionali. E anche il periodo in cui abbiamo vissuto non è stato affatto così eccezionale, anzi, è un arco di tempo pieno di lunghi periodi nei quali apparentemente non è successo nulla. E la nostra coscienza comincia ad agitarsi durante la lettura. Giorgio e Germaine non si chiedono mai che aspetto abbia il progresso quello buono, e come fare a distinguerlo dal resto. Perché il domani se lo stavano costruendo da soli, con le proprie mani. Per questo l’avrebbero riconosciuto di sicuro: adesso, qualunque cosa fosse venuta dal futuro avrebbe somigliato a loro due. Si ringrazia la casa editrice Minimum fax per la concessione della postfazione di Sandro Bonvissuto al libro "Un'isola" di Giorgio Amendola.
Sandro Bonvissuto