Accade che un giorno quel libro da tempo in libreria reclama il suo turno imperiosamente: allora lo si prende in mano con un sentimento strano che è un misto di tenerezza e desiderio. Quando poi il libro è Racconti dall’Ohio, caposaldo della letteratura americana del ‘900, è inevitabile iniziare a leggere con una sorta di timore reverenziale. Fernanda Pivano[1] racconta che una delle prime cose che le disse Ernest Hemingway quando si incontrarono a Cortina fu proprio che “il più grosso problema della sua generazione di scrittori era stato quello di liberarsi dell’influenza di Sherwood Andersonâ€. Stessa cosa le disse William Faulkner nel 1952. Anderson era un vero e proprio storyteller, diremmo oggi. A New Orleans, racconta sempre Pivano, era uno dei personaggi più vistosi: “Un po' esibizionista, un po' ottimista, girava con un bastoncino nero e camicie sgargianti, con un fazzoletto nel taschino e un anello, leggermente ingrassato, per lo più diretto alle corse dei cavalli dove passava i pomeriggi o al molo dove andava a passeggiare. Era sempre circondato da amici o ammiratori o postulanti o comunque persone che lo ascoltavano incantate per ore a raccontare le sue storie con la voce affascinante che sapeva modulare come un attore.†Camicie e cravatte sgargianti e calze a righe rosse e gialle anche quando si trasferì a dirigere due giornali nell’Indiana e ogni sera al tramonto sedeva sui gradini del tribunale a raccontare storie a chiunque avesse voglia di ascoltarle. Di Sherwood Anderson parlava già un giovanissimo Cesare Pavese[2]: â€i racconti che scrisse sono poi sempre, naturalmente, lo stesso racconto: la storia di chi vive soffocato dall’ambiente dell’ Ohio (la provincia, il Centro Ovest), dall’ambiente delle fabbriche, dall’ambiente del puritanesimo e della letteratura e, o ci resta (…) o ne riesce a fuggir via e la fuga è l’immaginazione, la libertà interiore, la sincerità : sensualità pagana e poesia.â€
I racconti dall’Ohio, nel loro essere uno spaccato di umanità senza tempo né spazio, tracciano una rotta sottile attraverso un’idea, magnificamente espressa dall’autore nel primo racconto dal titolo Il Libro delle caricature, che contiene l’enunciato di una tesi sviluppata man mano nei racconti successivi. Il racconto narra di un vecchio scrittore che ha una specie di visione, mentre, nel suo letto, sta per cedere al sonno: davanti ai suoi occhi sfilano le caricature degli uomini e delle donne che aveva conosciuto nella sua lunga vita. Alcune divertenti, altre belle, altre ancora grottesche. Alzatosi, inizia a scrivere ciò che ha visto, o forse immaginato, o meglio ancora intuìto, ovvero il libro delle caricature. “C’era nel libro un pensiero centrale, molto singolare, che mi è sempre rimasto in mente. Quel pensiero mi ha permesso di capire molte persone e molte cose che prima non ero mai riuscito a capire. Il pensiero, naturalmente, non era espresso, ma una semplice esposizione di esso suonerebbe pressappoco così: in principio quando il mondo era giovane, c’erano molti pensieri ma non esisteva nulla di simile ad una verità . Le verità le fabbricò l’uomo, e ogni verità fu composta da un gran numero di pensieri imprecisi. Così in tutto il mondo ci furono verità . Ed erano meravigliose. (…) C’erano la verità della verginità e la verità della passione, la verità della ricchezza e quella della povertà , della modestia e dello sperpero, dell’indifferenza e dell’entusiasmo. Centinaia e centinaia erano le verità ed erano tutte meravigliose. Poi veniva la gente. Ognuno, appena compariva, si gettava su una delle verità e se ne impadroniva. Erano le verità che trasformavano la gente in caricature grottesche (…) Quando qualcuno si impadroniva di una verità , e diceva che quella era la sua verità e si sforzava di vivere secondo essa, allora costui si trasformava in una caricatura, e la verità che abbracciava era una menzogna.â€Â   Che cos'è la verità , dunque, quella beffarda domanda che ci poniamo, come Ponzio Pilato, dalla notte dei tempi. È la mela vizza, rugosa e dimenticata, eppure, per chi la raccoglie dal ramo ormai spoglio, dolcissima? È l’idea semplicissima che ognuno al mondo è un cristo e tutti sono crocifissi? E cos’altro dunque, in questa galleria di personaggi così perduti eppure ritrovati nel senso del loro nonsenso che Anderson con infinita grazia abbraccia ed accarezza come nessun altro? Daniela Bianco