Sono giorni duri, questi. Tristi. Feroci. Come non ne ricordavo da anni. Mi si palesa un destino fin troppo avverso: restrizioni, vita sociale ridotta al minimo, qualità della vita rasoterra. Soprattutto, rinunce: tante, troppe. E per quanto tempo, poi…
Si dice che ci si abitua a tutto, ma a volte è troppo!, davvero.
Mi ritrovo quindi solo, in una solitudine di nuovo nuova, che avevo oramai abbandonato tanti anni fa: la solitudine amara di chi deve fare i conti col poco denaro e le ingiustizie sempre sotto il naso. E quello che mi fa più rabbia, è che dobbiamo rinunciare in due: io e Abigail.
Questo però non è un lamento. Questa constatazione, piuttosto, mi riporta a qualcun altro. Quindi, penso. E penso a una donna che, come me (seppur in maniera diversa da me) ha attraversato e continua a attraversare, gli inferni.
Poi mi vengono a dire che la devo smettere di atteggiarmi a maledetto. E che tutto ciò che scrivo non vale nulla ‒ O tutto o niente, insomma: io penso a Veronica Tomassini.
Veronica è una scrittrice che fa le rivoluzioni. Può piacere o meno. Se fosse mai un uomo, si chiamerebbe Luis-Ferdinand Céline. Se fosse una poetessa, sarebbe esattamente se stessa: maledetta e chiara fino all’ossimoro.
Veronica è una lottatrice, come le mie donne: mia madre e la mia musa. Ecco magari perché ne scrivo. Veronica ha il battito tagliente della lingua. Viene colpita, provata. Di rimando colpisce, affonda; per poi svanire ‒ ma ritorna.
E per me è lo stesso. Disarmato, subisco, paziento, soffro ‒ e poi di nuovo tocco!
Non c’è mai limite al peggio. Tanto meno alle vessazioni. Disabile io. Stella maris lei.
Una duplice fede ci accomuna: nelle parole lette e scritte, e forse la fede in dio.
Veronica è una fenice! Il fuoco ci esplode dentro!
Non ci siamo mai incontrati e nemmeno mai scritti una lettera.
Ma cosa importa.
Quel che conta è la rinascita, dalla cenere all’incendio.
Giorgio Anelli