Non si svetta svettando sulle vette. La montagna è un monito, è silenzio. Quasi un agguato. Come non si sbraita nella notte: non si abbaia alla luna ‒ al massimo, si ulula.
Intendo.
Oggi le montagne proteggevano un dono, a chi saliva come noi, in alto.
L’aria è fredda, rarefatta; eppure il sole illumina soltanto bellezza.
Ovunque ti guardi intorno, trovi un mosaico di stupore e gioia. Da una parte il Monte Rosa, il Massiccio di ghiaccio, detto il Gletscher, che scioglie il ghiacciaio in acqua dal color del latte.
Io e Daniela sentiamo solo la sua fragorosa presenza (di questo ghiaccio che immantinente si trasforma in acqua impetuosa, denuda il torrente, del Lys ne fa biscia impazzita), a salire a strapiombo, faticando verso il cielo.
E proprio fra le nuvole, alzando gli occhi, una poiana intercetta il nostro sguardo, rapito. Lei è davvero libera. Lei è altro. Le sue ali abbracciano il Rosa. Il suo volo è nel silenzio. Noi, continuiamo a salire. Fino alla vetta.
E forse comprendo Rimbaud: il suo lasciare tutto: abbandonare la poesia, dirigersi in Africa…
La montagna insegna pazienza, dirige il passo sul sentiero, guarisce la depressione. La montagna è il dono del silenzio vero, quello agognato, dopo tanta fatica e disgrazia, feriti dalla città. La montagna ci trasforma gli occhi e ci fa sgranare i denti, aprendoci al sorriso ‒ felici.
Davanti a noi, quindi, l’essenziale. Altri monti. Siamo a più di 2000 metri di altezza, e una cascata da lontano zampilla dalla roccia eterna. Una campana suona a mezzogiorno. È quella di una chiesetta, a Sant’Anna; è l’ora dell’Angelus.
Altrove, le mucche con i loro campanacci. Altri suoni non vorremmo sentire.
E dunque apro lo zaino. Prendo tra le mani un libro di poesie, lo sfoglio, le leggo a Daniela.
Si tratta anche in questo caso di un dono. Il libro in questione s’intitola Dolmen. La dimora freatica. A pubblicarlo sono le Edizioni degli animali: fantastica idea!
Il poeta, manco a dirlo, è Thierry Metz. Poeta enorme, i cui versi sono di una semplicità infinita. Ma sfido chiunque quantomeno a emularlo.
Apro il libro a caso:
un uomo laggiù
vicino al fuoco dove si raccoglie un cammino
dove medita un ramo
egli sgrana il suo libro tra gli uccelli
dicendo:
‒ la parola qui non teme di restare a terra
di afferrare l’ortica
di abitare ogni seme
più lontano sotto la brace
aggiunge:
‒ avere sete
è come portare acqua al cardo
E poi apro di nuovo a caso:
va’
taglialegna
accendi un fuoco nell’albero ‒ la tua caverna ‒
sulla tua lingua posa una brace
l’uccello può tornare
l’uccello del tuo respiro
l’ala che ravviva il dormiente
Sono, una più bella dell’altra, le poesie del primo Metz. Queste due raccolte, compongono un libro assolutamente da leggere per chi ama la poesia.
E così, quell’uomo che “sgrana il suo libro tra gli uccelliˮ sono io.
Non chiedo di meglio.
Il dono di una donna che mi ama incondizionatamente, il dono del verso, l’abbraccio unico e vero della montagna, il cui silenzio è immacolata poesia.
Giorgio Anelli