Il poeta è solo

Una sera ‒ un tempo, in un tempo oramai indefinito ‒ mi trovavo alla Piccola Fenice di Silvio Raffo, dove si parlava del poeta. E dietro di me, un uomo urlò a Raffo stesso: Silvio, il poeta è solo! Che si riferisse a me, appunto solo, catapultato allo sbaraglio in quella piccola dimensione letteraria, oppure alla condizione del poeta in generale, non mi è dato saperlo per certo. Quel che rimane è l’evidenza di un fatto incontrovertibile. Che tu sia poeta e / o scrittore, sarai sempre solo. Quando un giorno si accorgeranno del tuo valore, in molti (quasi tutti) non ti vedranno più come un amico, ma ti tratteranno a distanza come un concorrente, quell’altro alla pari che: ci mancava pure lui adesso…

Del resto, si sa (?), nessuno ti aiuta in questo mondo. Tuttavia, la solitudine è la condizione che ti porta all’opera. E non è scontato nemmeno questo concetto. Lasciato solo, a se stesso, il poeta leggerà un nuovo libro? Affronterà ‒ nuovamente, quotidianamente, al crepuscolo ‒ la pagina bianca?

Così, solo e senza conoscenze (quelle che contano), preferisco stare e lottare quotidianamente in mezzo alla gente. La mia scrittura parte sempre da lì: dai mercati, nell’ambito socio-assistenziale, per le strade. Al freddo di una miseria che è sempre dietro l’angolo. Dopo tutto, il microcosmo è sempre lo specchio del mondo. E noi, poeti e narratori, abbiamo bisogno di sentire la vita pulsare dentro o attorno. Non c’è altra linfa, nessun tesoro se non quello della realtà che parla e schiaffeggia. Tutto il resto ‒ in letteratura ‒ è gioco, becero teatrino di puttane, spogliarello nella notte tra le periferie delle città, che non ti aiutano nemmeno se sei malconcio, abbandonato a te stesso, in fin dei conti solo come un cane, nell’inutile speranza attesa, almeno di un saluto, se non di un soccorso…

 

Giorgio Anelli