La nicchia - numero 106 - Il fuoco di Rosaria Ragni Licinio

2025-11-25 23:10

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Rivista letteraria,

La nicchia - numero 106 - Il fuoco di Rosaria Ragni Licinio

Versi che non spariranno nella nebbia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono stanco morto stasera, ma per sentirmi vivo leggo poesia di Rosaria Ragni Licinio

 

Come si schianta sull’asfalto la voce

questo corpo brutale

che non ha fame

 

revolver, ossigeno

nient’altro che gemme,

un’origine folle

che qui si sparge.

 

C’è qualcosa. Dico, c’è qualcosa in questi versi e nella poetica di Rosaria che è fuori controllo, che rilascia ovunque lampi di ossigeno, lastricando il segno; non si può ‒ intendo ‒ restarne indifferenti. Il suo, è un turbamento: percorso sofferto, mai finito, infinitamente riarso dal fuoco

 

Mia bocca, flutto mai arso.

         ‒ Mastica ‒

i frutti che sarebbero stati

         ‒ Distruggi ‒

l’ordine del giorno

 

lingua che sei triste

in prossimità della parola,

quel che era così delicato

oggi si schianta in gola.

 

*

 

Nel sole delle dodici

fioriscono le braci

e l’inganno del cielo

è più vicino all’uomo

 

l’ombra resta infinita

e la senti nelle vene,

per questo disegni nell’aria

una spirare distorta

 

per riposare un momento

la nostalgia che hai creato.

Un eccesso di pensiero

se poi avanza il fuoco.

 

Ma è la malattia, forse, la ragione più vera, che fa esplodere questo libro: “Spazi d’esilio e presagiˮ, edito nel 2024 da Il Convivio Editore.

Ci vuole coraggio ‒ nuovamente intendo ‒ per dire il diverso, che poi è il nuovo; per affrontare tutto con sguardo feroce ma sincero.

Questi versi restano, non spariranno nella nebbia

 

Ancora un giorno restare intera,

fare scempio della paura

con questa saliva dove non s’annega

 

in un aprirsi festoso di denti

se escono torrenti

‒ non le parole ‒

e le altissime note nuotano.

 

Imparare ‒ intendo ‒ a dare dignità al dolore, proprio quando tutti se ne fregano di te: poetessa, donna, chiunque tu sia o sia stata.

Imparare la responsabilità della parola. Trovarne uno scorcio, tra gli spazi dell’esilio. Proprio come fosse un presagio…

 

(Giorgio Anelli)

 

 

Ho tradotto il verbo dei matti

le impronte delle dita sul portone,

il peso dell’acqua tra le pieghe

 

scorre, il ballo e la furia,

un magma diviso in capitoli.

 

*

 

Nel telaio certo dei vivi

‒ resto

dove le mani non trovano posto

 

tra i lampioni e la casa d’infanzia

(il rifugio di forme vaghe)

oltre i solchi di un cuore spolpato

 

c’è un’euforia di gesti impazienti,

nel mormorio che perde la luce

col soffio di vento alto, sul mare

 

per flussi disposti

di giorno e di notte,

sempre a ripetere

questo argomento.

 

Rosaria Ragni Licinio

Giorgio Anelli

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