La nicchia - numero 23 - DIVENTARE CHIODI IN 350 POESIE

Se la poesia ci sembra una dimensione parallela alla vita, una sorta di sogno a cui parole auliche e lievi ci portano volando, da cui contemplare un mondo distante e prosaico; se dedicarci alla lettura della poesia ci appare una attività austera e grave, riservata preferibilmente a sedicenti intellettuali; se siamo convinti che la poesia non parli delle nostre cianfrusaglie e delle nostre meschine incombenze quotidiane e, in definitiva, siamo convinti che non abbia a che fare con l’ironia e con la vita vissuta, allora conviene leggere Wisława Szymborska.

Poetessa nata in Polonia nel 1923, premio Nobel nel 1996, alla domanda perché avesse scritto solo 350 poesie ha risposto: “Ho un bidone della spazzatura a casa mia”.

Forse basterebbe questo per capire con chi abbiamo a che fare.

Le sue poesie sono popolate da oggetti comuni, da attività poco auliche, cercare le chiavi di casa, bere un bicchiere di vino, o da pensieri semplici ‒ quasi puerili ‒ che improvvisamente sono illuminati, improvvisamente si rivelano conficcati nell’Essere, forse più reali di noi stessi.

 

Accanto a un bicchiere di vino

Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo

(…)

Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine
sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro


Eppure sono proprio queste “povere cose” che ci destano dal sonno. Szymborska ci parla della necessità di togliere il pilota automatico che ci fa esistere in modalità “basso consumo” e ricominciare a stupirci: non è il dovere del poeta ma dell’essere umano. Conficcarci come chiodi   in profondità nel muro dell’essere è un tema che torna anche in questa poesia che suona come una strategia di vita e non di mera sopravvivenza.


Disattenzione

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.

Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,
incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.

Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.

Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).

Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.

Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno
più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.

Le nuvole erano come non mai e la pioggia era
come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La Terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.

È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

 

Emerge sempre una necessità, che è quella di destare nelle “cianfrusaglie” che ci circondano e limitano, un’altra vita misteriosa ma accessibile che ci parli in definitiva autenticamente di noi. Anche scrivere un curriculum, dove è necessario scegliere cosa dire e cosa tacere, cosa salvare di noi stessi e cosa per il mondo è superfluo, cosa verrà triturato come carta nella fredda contabilità dell’esistenza, ci rivela quanto viviamo da impostori rispetto alle pretese della nostra anima (che per la poetessa altro non è che la profonda essenza dell’umanità).


scrivere il Curriculum

Cos’è necessario?
È necessario scrivere una domanda,
e alla domanda allegare il curriculum.

A prescindere da quanto si è vissuto
Il curriculum dovrebbe essere breve.

È d’obbligo concisione e selezione dei fatti.
Cambiare paesaggi in indirizzi
E ricordi incerti in date fisse.

Di tutti gli amori basta quello coniugale,
e dei bambini solo quelli nati.

Conta di più chi ti conosce di chi conosci tu.
I viaggi solo se all’estero.
L’appartenenza a un che, ma senza un perché.
Onorificenze senza motivazione.

Scrivi come se non parlassi mai con te stesso
E ti evitassi.

Sorvola su, cani gatti e uccelli,
cianfrusaglie del passato, amici e sogni.

Meglio il prezzo che il valore
E il titolo che il contenuto.

Meglio il numero di scarpa,
che non dove va
colui per cui ti scambiano.

Aggiungi una foto con l’orecchio scoperto.
È la sua forma che conta, non ciò che sente.

Cosa si sente?
Il fragore delle macchine che triturano la carta.

Wisława Szymborska


Col suo dire apparentemente scanzonato e leggero, la Szymborska ci insegna che siamo chiodi, a cui il nostro bisogno di pienezza chiede d’essere ben piantati nel muro del cosmo: forse il quadro che dobbiamo reggere, tributo di bellezza e misteriosa grazia, altro non è che la nostra anima.

Caterina Graziosi