La nicchia - numero 36 - "Versi d’amore erotico per Natalie Zumab" di Mario Esposito
Nel 2023 è uscita una raccolta poetica intitolata Versi d’amore erotico per Natalie Zumab (Ensemble) di Mario Esposito, un libro che non esiterei a definire problematico, a dispetto della leggerezza (almeno apparente) con cui si presenta. Ma la poesia è già di per se stessa problematica, perché inevitabilmente apre uno spiraglio dentro la vita di una persona, ancor più di quanto accada nella prosa. Io non sono un poeta, forse perché reputo la poesia non soltanto più difficile della prosa, ma soprattutto perché in poesia non ci si può nascondere. Nella prosa si possono costruire castelli su castelli e ricavare per noi un posticino in un buio sottoscala, candela alla mano, e qui non ci troverà nessuno. Ma in poesia no, è come correre in mezzo a una prateria, alla portata del tiro di un plotone di cacciatori. Se in poesia non si gioca a carta scoperte, se la poesia non è sincera, allora non è poesia. È questo legame strettissimo con il vero a rendere la poesia, secondo me, difficile.
I versi di Mario Esposito ci accompagnano lungo una storia d’amore del tutto peculiare: questa Signorina Zumab, con un nome che ricorda una divinità sumera, altro non è che il farmaco che sta curando la Sclerosi Multipla del poeta. Davanti a un testo così è inevitabile che all’inizio scatti qualcosa, quella molla inconscia che scatta ogni volta che siamo davanti a una malattia o a una situazione terribile; potremmo chiamarla molla del compatimento. Non può non scattare, è la normale pietà nei confronti di chi è stato meno fortunato, spesso fomentata dai media. Mario Esposito però è un bravo poeta, capace di spazzar via la suddetta molla e consegnarci un libro originale per l’idea, delle poesie che seguono un bel ritmo, ma soprattutto una chiave d’accesso al mondo del malato che, in qualche modo, disinnesca la malattia. In questa prateria che è la poesia, Esposito riesce a correre e saltare, o ballare un valzer con l’amata Natalie Zumab, personificazione del farmaco che lo sta curando. E i versi sono per l’appunto d’amore erotico, e non pornografico, come troppo spesso accade quando si tratta la propria malattia. Qui sta il nocciolo della questione. Il malato si trova in una condizione pericolosa: l’identificazione con la malattia stessa. Questo valzer spiritoso e doloroso, ma infine salvifico, Esposito lo conduce con maestria e levità fino all’epilogo (e anche dopo), senza mai cadere nel patetismo. Anche quando sussurra parole sconce all’orecchio della sua amata medicina, Esposito è romantico, mai pornografico. Questo amore entra nelle vene e brucia, e dai versi scaturisce un amore forsennato, un vortice di bramose dediche alla sua Natalie, un amore carnale, anzi, ‘punturale’.
Trasfigurare la malattia (e in questo caso la cura) credo sia il primo passo per non cadere in quella identificazione tanto pericolosa. Non è solo un banale modo per sentirsi meglio; si tratta di riuscire prima di tutto a concepire un cambiamento nella propria esistenza. Concepirlo senza subirlo. Poi certo, a parlare son bravi tutti, soprattutto quelli “sani”; come i critici che dalle loro poltrone un tempo straparlavano di poeti e poesie, ma avrei voluto vederli, questi critici, a far la vita dei poeti, agli angoli delle strade, diseredati e morti di fame, dentro e fuori da manicomi e sanatori.
Ma io mi fido di Mario Esposito, quando dice che “[…] chi è si / salva”.
(Valerio Ragazzini)
Amore che pungi come una spina
Nel passaggio
Dall’infusione al lavaggio, penso
E col pensiero vago:
ma come hai fatto Natalie, a entrare nella mia vita?
Risposta scema, dall’ago.
Illusions
Nella sala del piacere
con piacere
mi lascio bucare
dalle infermiere.
Non piangere gocciolando per me
Natalie.
Non è un dispiacere
(ma nemmeno un piacere)
avere due lesioni.
Nella scala del piacere
vieni prima di tutte
le illusioni.
Mario Esposito